Cento giorni di guerra violenta e ottocento di pervasiva pandemia hanno spinto in secondo piano ogni altra questione; anche i temi caldi e importanti relativi al lavoro, ai redditi, all’economia e alle riforme sono stati stravolti dalle due grandi piovre e se ne parla solo in relazione ai loro effetti: l’inflazione -di cui i più giovani non avevano mai neppure sentito parlare- che è tornata ad erodere il potere di acquisto degli stipendi e delle pensioni, la politica economica che sembra ruotare solo intorno ai bonus, ai ristori e al contenimento dei danni in un minaccioso scenario recessivo, il costo dell’energia e il suo pericoloso effetto domino sulla produzione e la mobilità ed ora addirittura il rischio di accesso a beni alimentari di base come il grano. 

Non ho da proporre astuti piani di pace in 4 mosse, né sagaci formule che risolvano i problemi economici, anzi -ad essere sincero- comincio a temere anche di formulare semplici auspici sulla pace o sulle priorità economiche, tanto è alto il rischio di essere fraintesi o accusati di colpevoli omissioni.

Problemi grandi, scenari gravi e decisioni difficili esigono serietà e protagonisti istituzionali all’altezza e così percepiamo il piccolo/privato e il grande/istituzionale come due pianeti diversi e lontanissimi e -spesso inconsapevolmente- immaginiamo i protagonisti del secondo come “diversamente” umani, non costretti a fare i conti con l’approssimazione e i dubbi della nostra normalità e quotidianità. Nei giorni scorsi ho avuto l’occasione -come presidente del Sant’Alessio- di incontrare con i nostri assistiti disabili visivi, in due distinte circostanze,  due di questi protagonisti istituzionali -il presidente della repubblica Sergio Mattarella e Papa Francesco- e in entrambi i casi ho percepito concretamente la loro “normalità” come un pregio niente affatto trascurabile. Visti da vicino, in circostanze semi-informali, ho apprezzato in entrambi la semplicità delle parole rivolte agli ospiti e ai bambini, la prossimità del gesto, la loro normale umanità. Due ultraottantenni, sazi di impegni e di onori, che non è difficile immaginare amareggiati dalle responsabilità che il ruolo impone loro invece della serenità che la loro età meriterebbe. 

No, il piccolo/privato e il grande/istituzionale non sono due pianeti diversi, il filo rosso che li unisce è la nostra capacità di essere -e restare- coerentemente umani.  “Non ti disunire!” grida il regista a Fabietto nel film ‘E’ stata la mano di Dio’: “…non ti disunire mai, non te lo puoi permettere.” Disunirsi è perdere il proprio essere, è rinunciare alla propria sensibilità; disunirsi è accettare che le nostre convinzioni siano valori solo in determinate circostanze, mentre si tratta di imparare a declinarle in modo diverso e con linguaggi diversi, ma senza perdere coerenza, senza -appunto- disunirci.

Si tratta di restare umani anche quando diventa difficile, anche quando le vicende in cui ci troviamo coinvolti ci spingono a far prevalere l’emotività, la rabbia, il risentimento, l’astrattezza, il cinismo, insomma quella parte di noi che ha bisogno di essere invece filtrata, purificata, addomesticata, tradotta. 

Restiamo umani, non disuniamoci: faremo un favore innanzitutto a noi stessi. Gli altri capiranno e apprezzeranno.