Chi  l’ha visto, ricorderà certamente la prima, efficacissima, sequenza del film “Il favoloso mondo di Amélie” (2001, regia di Jean-Pierre Jeunet). Il regista presenta i suoi personaggi semplicemente elencando ciò che a loro “piace” e ciò che a loro “non piace”. Ad Amélie, ad esempio,  piace tuffare la mano in un sacco di legumi o rompere la crosta della crème brûlée  con la punta del cucchiaino, mentre non piacciono i vecchi film americani in cui il guidatore non guarda la strada (se avete 2,37 minuti liberi godetevi l’inizio del film http://www.youtube.com/watch?v=R5ATnTvqNLQ).

Ci è sempre molto più facile dire cosa ci piace e cosa non ci piace che dire cosa vorremmo fare e come.

La rudimentale opposizione “non mi piace- mi piace” si è recentemente evoluta (non di molto per la verità!) nell’opposizione “non sopporto…-ci vorrebbe…”.  Non sopportiamo i politici corrotti, gli economisti saccenti, i giornalisti prezzolati, la crisi, lo spread, gli aumenti della benzina, gli speculatori, la casta, il caro-libri, gli evasori, le tasse, i ticket, ecc.; quello che invece ci vorrebbe è un governo che governi, una maggiore equità fiscale, politiche per lo sviluppo, la diminuzione delle tasse, una seria lotta all’evasione, far pagare quelli che non pagano mai, ospedali che funzionino, scuole che funzionino, meno sprechi, più qualità della vita, lavoro per i giovani, ecc. .

 Niente di strano, chi non vorrebbe quello che “ci vorrebbe” e chi apprezzerebbe quello che “non sopportiamo”?

Negli ultimi mesi c’è da registrare un progressivo approfondimento del solco che divide i nostri incubi (non sopporto) dai nostri desideri (ci vorrebbe). Non avendo più molto da aggiungere alla lista di ciò che non sopportiamo e a quella di ciò che ci vorrebbe, ci siamo scatenati sui verbi: “non sopporto” (che aveva almeno il pregio di riferire un nostro sentimento) si è nervosamente trasformato in “fanno schifo”, “hanno rotto”, “non se ne può più”, fino ad arrivare al grido “ora basta!” che sembra chiudere definitivamente la partita. (Ma solo quella dei vocaboli, purtroppo, anche se molti sembrano ancora credere infantilmente che basti pronunciare la formula e battere un pugno sul tavolo per fare la magia). Anche il “ci vorrebbe” ha avuto la sua evoluzione perdendo la discrezione che gli derivava dal condizionale per diventare “bisogna assolutamente”, “è ora di”, “dobbiamo pretendere”.

Grazie a questa accelerazione lessicale diventa discretamente facile mettere a punto un programma elettorale vincente. Ecco le semplici istruzioni:

  1. fare un elenco accurato di ciò che gli elettori “non sopportano”, eventualmente caratterizzandolo in caso di discorsi a gruppi definiti (disoccupazione e ricambio generazionale se si parla a giovani, pensioni ritardate e valorizzazione dell’esperienza se si parla a vecchi e così via);
  2. immedesimarsi con l’esasperazione di chi “non sopporta” calcando la mano con esempi dettagliati a tinte forti, citando fatti di cronaca ed evidenziando la vicinanza con il problema (“proprio l’altro giorno un mio amico mi diceva…”);
  3. alludere continuamente ai responsabili di questa situazione insostenibile (senza necessariamente fare nomi e cognomi, meglio un generico “loro”, “questi signori”, i “politici”, ecc.) lasciando intendere  di essere di un’altra razza e che dopo le elezioni “si cambierà musica” (ovviamente con voi);
  4. descrivere la nuova “musica” utilizzando a piene mani l’elenco dei “ci vorrebbe” senza (ovviamente) entrare nel merito del come intendete farlo e di come riuscirete a rendere sostenibili scenari tra loro evidentemente non compatibili.

Ecco pronto il vostro programma elettorale vincente! Manca solo una accettabile confezione comunicativa e un paio di slogan. Guarnire con qualche testimonial di successo e servire caldo.

 

Forse, se c’è una cosa di cui siamo davvero stanchi è la banalità.

Non ci servono taumaturghi e uomini della provvidenza: vorremmo programmi che entrino nel merito dei problemi, che dicano in concreto cosa intendono fare e soprattutto come (confrontandosi con gli altri “come”), che non ci illudano di essere magicamente risolutivi, che non nascondano le contraddizioni, che sulle situazioni da affrontare dicano la verità (anche difficile da accettare) preferendola alle gradevoli bugie e alle pietose omissioni.

Senza promettere la luna: ce l’abbiamo già ed è gratis.