La newsletter della scorsa settimana (leggi), che prendeva spunto dalla terribile notizia della decapitazione dell’ostaggio giapponese,  ha suscitato reazioni contrastanti.

Un caro amico, Agostino Ferrari, mi scrive: “io vedrei una differenza tra la morte anonima procurata da una guerra e l’assassinio della persona eseguito platealmente con l’umiliazione e la disperazione del condannato, forse perché non la pensa come me”.

Capisco la differenza (anche se nessuna morte è “anonima” per chi muore e per i suoi cari), e capisco anche che questi argomenti sono estremamente delicati: basta spostare di pochissimo il “focus” da quello che si vuole affermare e si va fuori strada.

Purtroppo oltre alla crudeltà che qualsiasi morte inflitta porta con sé, ora bisogna fare i conti con la “platealità” e la diffusione globale delle immagini. Non è solo un elemento in più, non è solo un accessorio dell’orrore: è la ragione stessa dell’evento. E’ la telecamera la vera arma del terrorismo ed è alle immagini (e alla loro rapidissima ed estesissima diffusione) che i terroristi affidano il loro messaggio e il loro ricatto.

In altre guerre e in altri tempi era forse il numero delle perdite inflitte al nemico o i chilometri di territorio conquistato a funzionare da unità di misura del “successo” di un’operazione militare; oggi sembra essere la misura dell’orrore mostrato a tutti. Impossibile (e inaccettabile) competere su questo terreno.

Al termine della newsletter facevo esplicito riferimento alle indicazioni di papa Francesco: dialogo e ricerca di valori condivisi. Non sono così ingenuo da credere che basti una pacca sulla spalla e un po’ di buona volontà per risolvere situazioni come quelle del rapporto tra l’ISIS, armato e sanguinario, e culture di altra natura (certamente la nostra, ma anche quella curda, quella sciita, quella di tanti paesi sunniti “accettabilmente” democratici). Sono convinto che esistono situazioni -e questa è probabilmente una di quelle- in cui diventa inevitabile usare anche la forza. Ecco, appunto, “anche” la forza, perché se fosse “solo” la forza, solo una competizione di muscoli e armi, senza idee e proposte, sarebbe solo la premessa della violenza successiva (che non potrà che essere peggiore).