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La Ocean Viking -nave gestita dalla ONG Sos Mediterranée- la scorsa settimana ha tratto in salvo 25 superstiti da un gommone partito dalla Libia sette giorni prima con 85 persone a bordo. Ignorate dai soccorsi -malgrado le segnalazioni di Alarm Phone- mancano all’appello 60 persone che sono morte di sete, disidratazione, ustioni. La ONG ha prestato i soccorsi possibili, due naufraghi incoscienti sono stati evacuati d’urgenza a Lampedusa, molti altri utilizzano respiratori e flebo. Nonostante queste condizioni il Ministro degli Interni -applicando il cosiddetto decreto ”Cutro*– ha assegnato alla nave come punto di sbarco il porto di Ancona, che dista 1.400 chilometri dalla zona di soccorso. Una scelta politica che sistematicamente punta a tenere le navi ONG lontane dall’area delle operazioni.

Questa amarissima vicenda -purtroppo non unica nel suo genere- mi spinge a riflettere sulla nostra possibilità concreta di non essere solo spettatori dei drammi che hanno luogo nel nostro paese, nei nostri mari e nelle nostre città. E’ come se vivessimo giusto al di là di un “muro di cinta” che ci nasconde e -se vogliamo- ci consente di ignorare cosa succede dall’altra parte [**].

E’ tempo di scadenze elettorali (regioni, comuni, parlamento europeo) e ci ritroviamo -come spesso accade- nel contraddittorio stato d’animo tra “uffa che noia” e l’esigenza di non buttare alle ortiche “l’unica occasione” nella quale le nostre scelte possono non limitarsi alle chiacchiere e incidere su chi deciderà e su cosa sarà deciso nei prossimi mesi ed anni.

Sappiamo bene che i problemi da affrontare sono molti e molto diversi tra loro, ma ci sono temi (come l’immigrazione, la tutela dei soggetti fragili, l’inclusività…) che sono centrali nel nostro modo di intendere la politica, cioè come il luogo in cui prendono corpo le regole del nostro vivere insieme: regole che evidenziano o contraddicono i valori in cui crediamo. 

Il modo in cui questi temi sono affrontati (o ignorati) rivela inequivocabilmente il profilo valoriale di chi governa. Eppure molti di questi temi sembrano essere diventati tabù anche tra le forze politiche che -tradizionalmente- li hanno sempre ritenuti importanti: non mi pare che si affrontino con la forza che meriterebbero e -anche se richiamati qua e là nelle campagne elettorali- finiscono poi per essere messi in sordina nelle fasi decisionali. Ritengo che le cause siano da ricercare in una certa superficialità nella conoscenza delle questioni, nell’ansia di semplificazione (si tratta di temi intrinsecamente complessi che non si prestano ad essere riassunti in un veloce tweet) e, soprattutto, in una oggettiva incapacità di esercitare -su queste materie- una lobby efficace.

Forse consideriamo il sostegno a politiche migratorie più umane e lungimiranti un tema spinoso, difficile, antipatico e divisivo? Ebbene sì, lo è! ma se non lo solleviamo in campagna elettorale quando? chi pensiamo che lo farà al nostro posto? quante altre “Cutro” dovremo ancora piangere? quante altre norme disumane dovremo digerire? quanti suicidi nei lager che sono diventati i CPR “Centri di Permanenza per i Rimpatri”?

Le elezioni sono l’unica occasione per incidere sul cambio di politica (sia dei soggetti che dei contenuti), l’unica occasione per evitare che le nostre convinzioni, e l’indignazione che ci prende quando le vediamo ignorate o tradite, si diluiscano in un piagnisteo e in sterili affermazioni di principio. Se perdiamo questa unica occasione (per paura, per pigrizia o per stanchezza), non ci resterà che attendere fatalmente altre Cutro e altri decreti Cutro, espressioni di una cultura che fa della “nazione” un mito, della “nazionalità” una questione di cromosomi e spaccia mura e reticolati -fisici e morali- per una sagace politica di difesa delle nostre “radici”.

 

[*]   Decreto Legge 20/2023 convertito in legge n. 50/2023

[**] Rubo questa metafora al film “La zona di interesse” di Jonathan Glazer, recente premio Oscar.