“Misurare il benessere delle persone e della società. Una sfida per la statistica e la politica”.

Questo il titolo scelto dal presidente dell’Istat, Enrico Giovannini, per il suo intervento di mercoledì scorso all’AREL, l’Agenzia di Ricerche e Legislazione fondata da Nino Andreatta, che ha da poco mandato in stampa il suo ultimo volume monografico con un titolo eloquente. “Ricchezza”.

Attraverso quali sensori si rileva il benessere di un popolo? La conversazione proposta dall’AREL, tutt’altro che una semplice disquisizione accademica, tocca un tema che ha molto a che fare con il vissuto quotidiano di ogni persona. Se per tanto tempo la validità delle politiche è stata misurata in base ad un presunto benessere rilevato attraverso l’andamento del PIL, cosa succede se proviamo ad adottare parametri di valutazione diversi? “Se la partecipazione al G20 si decidesse in base allo Human Development Index -ha commentato provocatoriamente Giovannini- otterremmo risultati molto diversi dagli attuali”.

Quello della individuazione di indicatori efficaci  è un tema di rilevanza indiscussa , tanto che l’OCSE ha organizzato nel 2004 a Palermo il primo Forum Mondiale su “Statistica, Conoscenza e Politica”. Un evento che ha sollevato un interesse tale presso esperti e opinione pubblica, da meritarsi, nel solo periodo di svolgimento dell’incontro, ben 11.000 contatti sul web. Il Forum si è poi ripetuto, avvalendosi della collaborazione di economisti di rilevanza internazionale, nel 2007 a Istanbul, quindi tre anni fa in Corea. Mentre la IV edizione avrà luogo, significativamente, in India.

Perché tanta attenzione per un argomento che potrebbe sembrare appannaggio esclusivo degli statistici? Il presidente dell’Istat ha risposto citando l’economista indiano Amartya Sen: “Discutere di indicatori è un modo per parlare dei fini ultimi che si dà una società”. Una sfida complessa, in un contesto internazionale ormai globalizzato e disturbato dal rumore di fondo del continuo bombardamento di dati cui siamo ogni giorno soggetti. La cosiddetta “nuvola” di informazioni, prodotta da media tradizionali e soprattutto dall’onnipresente web.

Fotografare il benessere di un paese in prevalenza  attraverso l’andamento del PIL ha creato nel tempo distorsioni evidenti. Ad esempio, perché è ormai chiaro che il rapporto tra beni prodotti e felicità percepita non è lineare. E che più si cerca di sostituire con beni materiali altri tipi di ricchezza, ad esempio la qualità dell’aria che respiriamo o i preziosissimi “beni relazionali”, più si va incontro alla frustrazione garantita.  Perché, come ha affermato il Primo Ministro del Buthan  Lyonpyo Jigmi y Thinley, “l’essere umano ha due tipi di necessità, quelle del corpo e quelle della mente e per molto tempo noi ci siamo interessati troppo alla dimensione corporale, forse solo a  questa”.

“Un cambiamento di paradigma”, per rimettere la persona al centro delle politiche: questo è l’obiettivo da ricercare. Potendo contare su criteri di valutazione chiari e adeguati, le persone sarebbero infatti agevolate nella comprensione delle dinamiche autentiche che regolano la vita della società. E potrebbero così scegliere, finalmente a ragion veduta, tra chi promette loro fole e chi parla di sostanza. Così come le politiche pubbliche sarebbero tenute a fare riferimento a valori quali la trasparenza e l’accountability. “Un termine difficilmente traducibile in italiano” ha commentato Giovannini. Da intendere come “rendicontazione”, in senso non solo analitico, ma soprattutto valoriale. Dover “dare conto” della efficacia delle scelte effettuate, sulla base non di belle parole, ma di parametri definiti e verificabili.

Misurare il progresso, insomma. Una parola che, in seguito alla sua appropriazione da parte dei regimi totalitari, ha goduto di scarso consenso. Ma senz’altro da recuperare, secondo un’accezione nuova: non più come indicativa di un processo inevitabile, ma come il risultato di scelte ponderate. Perché si cerchi sempre meno un progresso “necessario” quanto irrealizzabile e sempre più il progresso “possibile”. Quello che, con le parole di Massimo Salvadori citate dal presidente dell’Istat, “non è garantito se non da ciò che siamo capaci di mettere sulla bilancia”.

Definire le modalità di misurazione del progresso è sì un tema tecnico, la cui complessità non si lascia afferrare attraverso una metrica unica. Tuttavia è la strada giusta, perché, come ha affermato in chiusura del suo intervento Giovannini, “abbiamo bisogno di trovare un modo diverso di pensare ai problemi. E l’Oriente in questo è più avanti di noi”.