Se c’è una cosa che oggi sembra essersi eclissata è la speranza.
Gli scenari di guerra si rincorrono e si rigenerano come un’oscena replica di orrori; la cronaca, intrisa di violenza e di disprezzo della vita, si ripete quotidianamente al punto che non riusciamo più a distinguere un crimine dall’altro; istituzioni nazionali e internazionali che -con la loro autorevolezza- sembravano garantire un argine agli eccessi si vanno sgretolando e i loro interventi vengono irrisi e ignorati… tutto sembra congiurare per togliere alla speranza ogni ragione e a farcela apparire come una illusione con cui ci siamo ingenuamente baloccati per troppo tempo.
Ma se c’è una cosa della quale proprio non possiamo fare a meno, questa è proprio la speranza. E’ solo la speranza a darci l’orizzonte della sensatezza, solo se abbiamo una speranza possiamo sentirci “in cammino”. Senza speranza una cosa vale l’altra, tutto si appiattisce e anche il tempo perde profondità: si finisce per vivere di istanti, senza alcuna prospettiva progettuale e -conseguentemente- sempre più ripiegati su noi stessi.
Dovremmo educare, ma soprattutto rieducarci, alla speranza: “Disegnare nuove mappe di speranza” è il titolo che papa Leone ha scelto per la sua lettera apostolica di qualche settimana fa sull’importanza e attualità dell’educazione [in senso lato] nella vita delle persone. Si tratta di una breve lettera nella quale ho trovato interessanti alcuni passaggi che penso valga la pena di mettere meglio a fuoco.
Il primo riguarda il senso intrinseco dell’educare e dell’educarci: “Educare è un atto di speranza perché manifesta la promessa che vediamo nel futuro dell’umanità. Educare è un “mestiere di promesse”: si promette tempo, fiducia, competenza; si promette giustizia e misericordia, si promette il coraggio della verità e il balsamo della consolazione.”.
Tempo, fiducia e competenza: mi sembra una corretta sintesi delle condizioni necessarie affinché la speranza possa ragionevolmente nascere e svilupparsi. Dobbiamo darci tempo, concedere fiducia, esigere competenza, ma -al contrario- viviamo avendo costantemente la sensazione che il tempo sia ormai poco, ritenendo che non ci si possa fidare di nessuno e che la competenza non sia più un valore. C’è da stupirsi che non riusciamo più a coltivare la speranza se continuiamo a sottrarle le tre dimensioni di cui ha bisogno?
Il secondo riguarda la doppia dimensione che qualsiasi processo di educazione deve avere: “In un mondo interconnesso, il gioco si fa su due tavoli: locale e globale. Occorrono scambi di docenti e studenti, progetti comuni tra continenti, riconoscimento mutuo di buone pratiche, cooperazione accademica. Il futuro ci impone di imparare a collaborare di più, a crescere insieme.”. E’ difficile coltivare la speranza da soli, è un sentimento che ha bisogno di essere condiviso per poter nascere e consolidarsi. La speranza è “contagiosa” esattamente come l’angoscia, che è il suo opposto. I “due tavoli” sui quali la speranza va costruita non sono solo quelli “geografici” (locale/globale), ma anche quelli sociali (individuo/gruppo) e quelli personali (interiorità/relazione): un gioco a volte complicato, ma che vale la pena di giocare. L’alternativa è la solitudine dell’analisi che cerca solo conferme al già pensato ed è terreno fertile per l’angoscia e la negatività.
Il terzo è la “fatica” di sperare. “Siamo consapevoli delle fatiche: l’iper-digitalizzazione può frantumare l’attenzione; la crisi delle relazioni può ferire la psiche; l’insicurezza sociale e le disuguaglianze possono spegnere il desiderio.”. Non è una fatica sterile, è una fatica fertile.
Sperare non è gratis, gratis è l’ottimismo che è tutt’altra cosa: il pensiero sorretto dalla speranza non è un pensiero semplicemente ottimista.
“Al contrario della speranza, all’ottimismo manca la negatività. L’ottimismo non conosce né il dubbio, né la disperazione. La sua essenza è piatta positività. L’ottimista è convinto che le cose andranno per il meglio. Per lui il tempo è chiuso, l’ottimista non fa mai i conti con l’inaspettato e l’incalcolabile. Al contrario dell’ottimismo, la speranza si presenta come un movimento di ricerca. La speranza è un tentativo di conquistare, raggiungere, afferrare una posizione e una direzione.” (Byung-Chul Han, Contro la società dell’angoscia, Einaudi).
Concludo questa breve riflessione con l’appello che papa Leone ha posto in fondo alla sua lettera: “-Disarmate le parole, perché l’educazione non avanza con la polemica, ma con la mitezza che ascolta. -Alzate lo sguardo. Come Dio disse ad Abramo, «Guarda il cielo e conta le stelle»: sappiate domandarvi dove state andando e perché. -Custodite il cuore: la relazione viene prima dell’opinione, la persona prima del programma.”
