Lo sanno tutti che le medaglie hanno due facce e -nelle società di qualunque luogo e tempo- le due facce che inevitabilmente si incontrano o si scontrano,  si logorano o si rigenerano, coincidono o si divaricano sono il potere e il consenso

Il potere senza consenso si regge sulla sopraffazione, il consenso senza potere cerca di organizzarsi per cambiare la situazione o si logora nell’impotenza. 

Nella storia dell’umanità ci sono state società governate da sovrani assoluti che “legittimavano” il proprio potere per diritto divino o lo “esercitavano” di fatto con la forza. In entrambi i casi si trattava di un potere non aveva alcun bisogno di acquisire il consenso e di conservarlo: la medaglia aveva una faccia sola. Nelle società democratiche ci vantiamo (ma ce ne vantiamo ancora?) che il mandato -affidato a chi governa- si fondi su un consenso libero e abbia una durata predefinita.

Se acquisire il consenso è dunque necessario per poter governare, mantenerlo è -per chi governa- la prima delle priorità. In passato la strada maestra per mantenere il potere era la censura del dissenso, ma oggi sembra che le strategie più efficaci siano piuttosto quelle orientate a manipolare e rafforzare il consenso. 

Si tratta di strategie mediatiche (controllo di televisioni, giornali,  piattaforme, social; gestione del ciclo delle notizie per enfatizzare successi e oscurare fallimenti…); strategie comunicative (creazione di “nemici”, messaggi emotivi, retoriche polarizzanti…); strategie istituzionali (modifiche delle regole elettorali, controllo politicizzato di organi di garanzia…).

Basta pensare ad alcuni tratti dell’azione politica di Trump in questo primo anno di presidenza: l’ossessiva retorica del MAGA, le continue minacce di ritorsione, i licenziamenti dei collaboratori non allineati, lo svuotamento del linguaggio affermando e negando con disinvoltura lo stesso contenuto poche ore dopo…; più “classica”, ma ugualmente schiacciante la strategia di Putin al potere ininterrottamente da 25 anni: narrazione unica su sicurezza, patriottismo e nemici esterni, controllo ferreo dell’informazione, svuotamento dei meccanismi istituzionali ed elezioni ridotte ad un rituale simbolico.

E’ il consenso l’elemento che mantiene la democrazia viva: quando viene manipolato, la democrazia si svuota. Quando il potere riesce a prescindere da esso, la democrazia muore e lascia spazio a sistemi che si legittimano non attraverso i cittadini, ma attraverso l’apparato statale, la forza o il controllo dell’informazione.

La terza faccia della medaglia, la vittima sacrificale di questa dinamica distorta, è la realtà (i numeri, le condizioni reali delle persone, gli effettivi rapporti di causa/effetto,…): quella verità oggettiva che dovrebbe essere il campo di gioco di chi governa, il suo banco di prova, e finisce invece per essere il piano con cui il potere, concentrato su se stesso e sull’ansia di perpetuarsi, ritiene di poter fare a meno di confrontarsi. 

Occorre restituire alla “realtà” la centralità che merita, consentirle di tornare in gioco, ricollegarla alla genesi del consenso, evitare che la dinamica politica di sviluppi solo sull’asse consenso/potere, come se la realtà fosse una trascurabile questione che sarà comunque possibile manipolare, ritoccare e rivendere nella versione più conveniente.

La ricerca del consenso e la gestione del potere non sono attività fine a se stesse: il senso del loro dinamismo risiede nell’efficacia del loro agire, nella loro capacità di cambiare e migliorare le cose, le condizioni delle persone e delle relazioni sociali. Dalla verità della realtà non si può prescindere all’infinito: prima o poi presenta il conto.  Governare è un mandato impegnativo, non un rodeo in cui vince chi resiste più a lungo in sella.