Estate piena e per molti tempo di vacanze. I giornali si sbizzarriscono nel darci consigli: che abiti indossare per stare freschi, quali località visitare, gli aperitivi da non perdere.

Per fortuna qualcuno si ricorda anche di suggerirci qualche buon libro da mettere in valigia (o da leggere in santa pace in uno dei tanti parchi di cui Roma ha il privilegio di essere dotata).

Sì, ma cosa scegliere? Sul Corsera di oggi è uscito un articolo che consiglia un metodo innovativo, proposto dal settimanale L’Express, per capire velocemente se un libro fa per noi: ignorare la prefazione, la quarta di copertina e saltare direttamente a pagina 99, dove “si è generalmente, più o meno, arrivati a una terzo del libro e si può quindi capirne il ritmo (posto che ne abbia uno), i personaggi sono già tutti o quasi entrati in azione, la storia è ormai nel suo pieno svolgimento e allo stesso tempo sarà difficile incappare in un colpo di scena decisivo che rischi di rovinare la suspense”.

“Sperimentalismi” a parte, forse il metodo migliore è quello di affidarsi al buon vecchio tam-tam. Se uno, due amici fidati ci garantiscono di avere letto un racconto interessante, ci sono buone probabilità che possa piacere anche a noi. Così questa volta possiamo seguire il consiglio dell’amico Felice Celato, che dal suo blog “Discerenere”, come sempre pensoso e divertente, ci propone l’ultimo libro di Edoardo Nesi, Storia della mia gente, fresco vincitore dell’ultima edizione del premio Strega.

Una storia di incontri e scontri tra comunità e sensibilità diverse, quella italiana e la cinese, nella multietnica Prato. Il romanzo, come fa notare Celato, diventa anche un’occasione per riflettere sul tema della globalizzazione, che altro non è se non “il nome che abbiamo inventato per un fenomeno che affonda le sue radici nei profondi e spaventosi squilibri economici e demografici del nostro mondo, dove grandi masse di poveri, crescenti a ritmi nettamente superiori a quelli dei mondi diciamo lato sensu occidentali, hanno impetuosamente cominciato a bussare alle porte del mondo ricco rivendicando, per fortuna in prevalenza pacificamente, una parte del benessere di cui questo godeva (e tuttora gode)”.

Il romanzo diventa anche un’occasione per porsi domande a questo punto improrogabili per chiunque, anche se non lo confesserebbe mai, si sente forse irragionevolmente parte della retroguardia del “vecchio mondo”. Celato sceglie infatti una domanda che Nesi pone nell’ultimo capitolo del libro: “Non c’è nessuno….che debba chiederci scusa per averci condannato a essere la prima generazione da secoli che andrà a star peggio di quella dei nostri genitori?”. E a un quesito così difficile da esaminare a mente fredda (e ancor più duro da accettare nelle conseguenze pratiche da esso implicate), Celato assesta una risposta spiazzante quanto diretta: “No, non c’è nessuno, per lo meno a livello globale”, aggiungendo che si possono magari avere “idee diverse sulla situazione specificamente italiana, dove alla marea della globalizzazione abbiamo aggiunto l’inerzia e l’irresponsabilità politica della nostra generazione”.