Non c’è bisogno di essere semiologi o scomodare Umberto Eco per cogliere la differenza tra segno e significato, così come tutti sappiamo quanto il nesso tra i due possa non essere univoco e generare fraintendimenti: “segni” gestuali come dare la mano, baciarsi sulle guance, annuire o negare con il capo, alzare un braccio, inginocchiarsi, possono evocare “significati” molto diversi -fino a diventare inopportuni, equivoci o addirittura offensivi- se cambia il contesto culturale o sociale in cui vengono fatti o in cui vengono omessi.

Inginocchiarsi può significare devozione, sottomissione, profondo rispetto, ma anche servilismo, adulazione o piaggeria. Può succedere anche che un gesto assuma convenzionalmente un significato particolare legato ad un evento o ad un valore determinato: è esattamente il caso dell’inginocchiarsi per esprimere il rifiuto del razzismo. Questo particolare significato nacque nel 1965, quando Martin Luther King si inginocchiò in strada per denunciare la strage razzista di Selma; fu ripreso -con il medesimo significato- nel 2016 da Colin Kaepernick, giocatore di football americano, che si inginocchiò in campo durante l’esecuzione dell’inno nazionale e -più recentemente- in moltissime occasioni dopo l’omicidio di George Floyd a Minneapolis rimandando -anche plasticamente- al modo con cui Derek Chauvin lo soffocò tenendogli il ginocchio premuto sul collo.

Nessuno è così ingenuo da pensare che basti un gesto simbolico, come inginocchiarsi qualche secondo prima di una partita di calcio, per combattere efficacemente il razzismo (ben altro…) o che farlo significhi privilegiare un ingiustizia rispetto ad altre (ben altre…), ma nessuno è anche così ingenuo da non intuire che -quando si parla di segni- “omettere” è significativo quanto “fare”. 

Servirebbe inoltre una maggiore chiarezza sul piano della discussione: stiamo parlando del significato (denuncia del razzismo), del segno (inginocchiarsi) o dell’opportunità del luogo e del tempo (campo di calcio in diretta TV con centinaia di milioni di persone)?  E’ incredibile la facilità con cui il focus del discorso (la denuncia del razzismo e la prossimità con le vittime), si sia velocemente spostato al dettaglio dell’opportunità (che fa l’altra squadra? chi c’è al governo del paese che rappresenta?) o addirittura alla sostituzione del significato (il gesto lo facciamo se lo fanno gli altri, ma solo per “rispetto della sensibilità degli avversari”: l’ipocrisia elevata al rango di arte!)

Non credo certo che questa faccenda dell’inginocchiamento dei calciatori sia così rilevante (finito il torneo chi se la ricorderà più?), né -per fortuna!- che l’esito della lotta al razzismo dipenda dal gesto simbolico di undici ragazzi su un campo di calcio; quello che mi inquieta è la progressiva incapacità di cogliere il significato di quello che facciamo (o omettiamo di fare) e decidere consapevolmente se e come perseguirlo e poi sostenerlo con coerenza. 

Se il sale diventa insipido”… il mio timore più grande non è che ci vengano a mancare i segni, ma i significati. 

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Con la fine di giugno la newsletter va in vacanza.

Ci risentiamo dopo l’estate, quando il PNRR sarà già partito; il M5S avrà deciso (forse) cosa diventare; a Roma, Milano, Napoli e Torino saremo in fibrillazione per eleggere il sindaco e -soprattutto- se il Covid avrà davvero finito la sua corsa e insieme alle scuole potranno finalmente ripartire con convinzione anche l’economia e la pienezza delle relazioni. Buona estate.