Credo che il grado di civiltà di una comunità si misuri dalla sua capacità di farsi carico dei soggetti più deboli e con scarsa contrattualità sociale. So che non è un’affermazione originale, ma sono convinto che lo stare bene è profondo e gratificante solo se condiviso con quante più persone possibili: il “benessere di nicchia” è un ossimoro fragile e incoerente.  Questa convinzione si rafforza in tempi di crisi, quando tutti hanno bisogno di qualcosa e diventa più facile “dimenticarsi” di chi sgomita meno.

Un esempio è la recente polemica sulla possibilità di accedere alla vaccinazione prioritaria anche per gli assistiti e gli operatori socio-assistenziali delle residenze per disabili gravi convenzionate ma non appartenenti al servizio pubblico. Solo dopo mesi di insistenza si sta chiarendo il diritto di ricevere prioritariamente i vaccini anche per gli operatori -dimenticati nel piano vaccinale- che di queste persone si occupano quotidianamente senza la possibilità di rispettare le necessarie distanze di sicurezza. Certamente non si è trattato di una dimenticanza voluta, ma -come i lapsus linguistici in psicologia- le dimenticanze sono spesso sintomatiche, rivelative di fretta e carenza di attenzione a “particolari” che tanto particolari non sono. Anche in questa circostanza paga il suo prezzo la “non definizione” di disabilità, concetto perennemente in bilico tra la malattia (di competenza sanitaria) e la non autonomia (di competenza sociale) e che, come spesso accade alle cose in bilico, finiscono per restare incastrate nello stretto valico che dovrebbe unire i due versanti.

L’otto marzo scorso, festa della donna, la ministra per la disabilità Erika Stefani in visita al Centro Sant’Alessio per incontrare un gruppo di donne non vedenti, ci ha raccontato che, in occasione del recente giuramento al Quirinale, il Presidente Mattarella le ha confidato la sua particolare sensibilità per le persone disabili sottolineando quanto queste gli stiano a cuore. Ecco, mi auguro che non sia solo il Presidente ad avere questa particolare sensibilità, ma che essa diventi patrimonio comune fino a non aver più bisogno neppure di essere particolare. Sono lieto che il governo abbia scelto di non istituire un vero e proprio ministero autonomo della disabilità, tema inevitabilmente trasversale, ma di nominare un ministro -presso la Presidenza del Consiglio- che si faccia carico dell’attenzione necessaria, che eviti le “dimenticanze”, identifichi le necessarie azioni di sostegno e le promuova. 

Allo stesso modo e con la stessa logica, mi auguro che Enrico Letta, attraverso nuova segreteria del suo partito, coltivi e promuova questa sensibilità trasversale senza creare alcun “ghetto”, sviluppando concretamente l’approccio socio-sanitario già avviato. Ho colto come un buon auspicio in questa direzione la delega al vice segretario Provenzano che Enrico ha definito missione di “prossimità” e contrasto alle disuguaglianze, una missione trasversale che colleghi efficacemente territorio e istituzioni nell’interesse di tutti.

Quando si va in montagna in gruppo, le guide insegnano che si deve rispettare il passo del più lento: qui non siamo in montagna e non è una questione di velocità, ma se, nella difficoltà del momento, dobbiamo proprio chiedere uno sforzo speciale a qualcuno, non chiediamo al più lento l’impossibile, chiediamo piuttosto a chi ha la forza per farlo di disegnare percorsi inclusivi che non lascino fuori nessuno.