A differenza di improbabili apparizioni settimanali sulle rive del lago, questa volta c’è una ”apparizione” della madonna ben definita e niente affatto inquietante. Di straordinario c’è solo il luogo in cui è avvenuta, un luogo che difficilmente ci saremmo aspettati: la metropolitana di Teheran.

La linea 6 della metro -una delle più moderne e frequentate della città- ha da pochi giorni una nuova stazione intitolata alla madonna: “Hazrat Maryam” che in farsi significa appunto “Santa Maria”. Una scelta da non sottovalutare trattandosi della Repubblica Islamica dell’Iran, dove l’Islam sciita è la religione ufficiale di Stato.

Per chi conosce un po’ la teologia islamica non è una sorpresa, la figura della Vergine Maria, infatti, è venerata in quanto madre del profeta Gesù (Issa in arabo) ed è citata in tre Sure del Corano. Come ricorda l’ayatollah Mohammad Ali Taskhiri, esperto di dialogo interreligioso: «Maria è l’unica donna menzionata per nome nel Corano, dove un’intera sura porta il suo nome. Per i musulmani, lei è il modello della donna perfetta, pura e devota a Dio».

Se però non è una sorpresa sul piano religioso, lo è certamente dal punto di vista politico: dall’Iran siamo abituati ad aspettarci posizioni rigide senza aperture e crepe. Come è noto, a partire dalla fine degli anni Settanta, la rivoluzione guidata dall’ayatollah Khomeini ha cambiato il volto dell’Iran instaurandovi una teocrazia, con un sistema statale basato sulla devozione a un’interpretazione estrema dell’Islam e in cui il dissenso politico viene combattuto con la violenza da parte del regime, come nel caso dell’omicidio della giovane Mahsa Amini nel settembre 2022 per mano della polizia morale.

La Costituzione iraniana riconosce l’Islam sciita come religione di stato, lo Zoroastrismo, l’Ebraismo e il Cristianesimo come religioni minoritarie. L’amministrazione municipale di Teheran e il ministero della Cultura -che hanno promosso l’iniziativa- hanno dichiarato che il nome è stato scelto come “simbolo di rispetto” nei confronti di Maria, madre di Gesù venerata sia nel Cristianesimo che nell’Islam sciita.

Ovviamente questa inattesa “intitolazione” non attenua affatto il giudizio negativo sull’arroccamento teocratico di quel governo che porta in dote le negazioni dei diritti umani e sociali che ben conosciamo -in particolare quelle relative alla condizione subalterna della donna nella società-, tuttavia è da annoverare tra i piccoli segni di speranza da non disperdere. In un momento di tensioni internazionali, piccoli segni come questo seminano pace e rappresentano un indizio di apertura e di dialogo in discontinuità con la rigida chiusura che da anni sta isolando l’Iran dal contesto culturale globale.

Quando parliamo dell’Iran e -più in generale- di paesi con culture diverse dalla nostra, corriamo costantemente il rischio di scivolare nella generalizzazione, di farci un’idea basata esclusivamente sui (pochi) elementi che conosciamo, pretendendo di trarne un quadro di carattere generale che inevitabilmente lascia fuori tanti altri fattori ed aspetti caratterizzanti; come se un cinese o un indiano pretendessero di avere un quadro esaustivo del nostro paese basandosi solo su alcune notizie di cronaca, sui battibecchi tra le fazioni politiche o su alcune decisioni governative decisamente faziose. L’Iran è un paese grande oltre cinque volte l’Italia, in cui vivono 92 milioni di persone di cui più della metà ha meno di 35 anni: non può essere un blocco culturalmente omogeneo e politicamente compatto (e infatti non lo è) e la repressione del governo -per quanto drammatica- è solo una parte di una società che ha molte altre facce e potenzialità.

Altre convivenze ed altri equilibri sono e saranno sempre possibili, ma non li costruiremo mai se facciamo come il cinese che dopo aver visto un talkshow e letto un discorso di Salvini va al bar e spiega agli amici come funziona l’Italia e perché tutti gli italiani sarebbero da rinchiudere.