Venerdì scorso il governo Monti ha superato la soglia dei primi cento giorni di attività. In poco più di un trimestre sono stati compiuti passi avanti di rilevanza vitale per il Paese, dal pacchetto sulle semplificazioni fiscali alle proposte di riforma del mercato del lavoro, passi che stanno permettendo all’Italia di riguadagnare quella credibilità e quella considerazione troppo a lungo offuscate, anche a livello internazionale, dai lunghi anni delle non scelte.

Ma quale scenario attenderà il Paese di qui al 2013 quando, terminato il mandato di questo governo “tecnico”, gli italiani saranno chiamati nuovamente alle urne? È questo uno degli interrogativi posti dallo storico Miguel Gotor lo scorso 16 febbraio durante la lezione conclusiva del minimaster “Ma cos’è la destra, cos’è la sinistra?”, quattro incontri organizzati dall’Associazione TrecentoSessanta di Enrico Letta con esperti e personalità di spicco quali Alfredo Reichlin, per discutere di identità politiche e scenari futuri.

La riflessione non poteva che prendere il via  – inevitabilmente – dal nostro recentissimo passato. L’Italia infatti appena dallo scorso novembre, con l’avvento del governo Monti, ha iniziato a rappresentarsi come una realtà “post berlusconiana”. Ma immaginare che la parabola politica dell’ex premier sia definitivamente conclusa e che la sua vicenda appartenga a una fase preistorica, “giurassica” sarebbe  un’imperdonabile leggerezza, ha messo in guardia Gotor. Anzi, è proprio rimanendo nell’ombra in questo momento  che Berlusconi – forte anche del recentissimo proscioglimento per prescrizione nel processo Mills – starebbe dimostrando doti  di rara abilità politica.

È un dato di fatto che il Cavaliere abbia stabilito nei suoi lunghi anni di governo  un’indiscussa egemonia culturale ancor prima che  politica, così come è evidente – ha affermato Gotor – che una delle pecche dell’elettorato progressista sia stata quella di non comprendere la reale portata del berlusconismo, riducendo l’uomo a una sorta di pagliaccio, “una caricatura dei difetti degli italiani”.

Ma l’ex premier, come ha notato Amedeo Piva nel suo intervento a commento della lezione, ha rappresentato realmente un serio pericolo per la cultura democratica del nostro Paese. Dalle leggi ad personam al disprezzo palese per la Costituzione e le istituzioni fino ad arrivare alla smaccata cancellazione dei reati, “e la democrazia, senza cultura democratica, non è altro che una dittatura dei numeri” ha affermato Piva. Un’osservazione condivisa da Gotor, che ha commentato, puntualizzando, come il fenomeno Berlusconi possa essere letto come “una grave anomalia democratica” nella storia italiana.

E oggi? “Berlusconi è stato ed è tuttora un avversario durissimo da affrontare – ha sottolineato Gotor.  “In passato è stato infatti in grado di anticipare tendenze e curvature populistiche  in seguito largamente diffuse”. La sua grande forza è stata inoltre la capacità di garantire, pur presentandosi come una sorta di homo novus, una continuità sostanziale con il vecchio sistema di potere che faceva capo a politici come Craxi e Andreotti. Una continuità lucidamente pianificata dagli stessi protagonisti della prima Repubblica quando Berlusconi venne scelto, come ha spiegato Gotor, “come un possibile cavallo su cui puntare” nel luglio 1990 quando fu varata la legge Mammì che disciplinava il sistema radiotelevisivo italiano “sancendo de iure e non solo de facto il monopolio televisivo  – e quindi l’egemonia culturale – di Berlusconi”.

La forza del Cavaliere è stata poi anche quella di stabilire un contatto, nient’affatto scontato, con le forze moderate del Paese, soggetti politici che hanno preso le distanze dall’esperienza del berlusconismo solo quando la crisi economica internazionale ha mostrato come si stessero intaccando degli interessi che il leader di Arcore non era più in grado di tutelare. I veri momenti di sviluppo del Paese in effetti si sono avuti “solo quando si è verificata una polarità positiva tra moderati e progressisti” ha affermato Gotor, non a caso autore di straordinari lavori sulla figura di Moro. Il Pd in questo momento è chiamato quindi “a sviluppare al massimo il profilo riformista e insieme la capacità di affrontare il mare che abbiamo davanti”. Una sfida aperta e che non ammette formule elaborate a tavolino, come sembra dimostrare, pur in un contesto locale, il risultato delle recenti primarie di Genova.

“La politica si fa dove il terreno è impervio”, ha concluso Gotor. Staremo a vedere.