In Italia la mobilità sociale è a livello di feudalesimo”. Così affermava provocatoriamente Stefano Fassina, responsabile del Dipartimento Economia e Lavoro del Pd, in un libro di qualche tempo fa “Governare il mercato”. Oggi Fassina torna sul tema con un nuovo saggio, “Il lavoro prima di tutto. L’economia, la sinistra, i diritti” (Donzelli). Il traguardo cui dovrebbe tendere il Paese in questa epoca di transizione, dopo il tramonto di un trentennale equilibrio improntato a un “paradigma neo-liberista”, sarebbe secondo il deputato Pd un “neo-umanesimo laburista”. Un obiettivo largamente disatteso, che in questi anni non avrebbero saputo porsi neanche le forze politiche di centrosinistra, tutte impegnate a rincorrere “le mode del momento”. Quali? In breve: “il ritiro della politica per l’autoregolazione dell’economia; la demonizzazione dell’intervento pubblico; “meno ai padri più ai figli”; l’archiviazione del partito collettivo per il vuoto leaderismo mediatico”.

Sul dilagare acritico nella riflessione collettiva di certe “mode del momento” è difficile dissentire. Sperare che l’economia, i “tecnici” potessero sostituirsi alla politica nella definizione delle scelte è stato un puro abbaglio. Ma è altrettanto vero che non si può non tenere conto del dato di realtà, e cioè che il nostro Paese, per salvarsi, è tenuto a vincere insieme quelle “battaglie del numeratore e del denominatore” di cui parlava proprio il nostro attuale presidente del Consiglio in un suo editoriale sul Corsera dello scorso 3 luglio (“Troppo timidi per crescere”), a proposito del micidiale rapporto tra debito pubblico e Pil.

Battaglia del denominatore dunque. Oggi discutiamo animatamente di reintegro alla tedesca o alla danese, mentre in Italia vengono bruciati ogni giorno migliaia di posti di lavoro e siamo scivolati agli ultimi posti nella classifica dei paesi destinatari di investimenti esteri. “L’occupazione vera si fa con una crescita sostenuta e sostenibile”, ha dichiarato ieri a Cernobbio il ministro dello Sviluppo Economico Passera.

Se questo governo, dopo aver messo a punto una serie di dolorosi interventi per iniziare a ripianare il debito (“la battaglia del numeratore”) riuscirà a definire misure efficaci per aumentare la competitività del sistema Paese, allora davvero ci muoveremo nel segno di un neo-umanesimo. Inteso come capacità di porre di nuovo gli italiani nella condizione di essere lavoratori e di costruirsi quindi un futuro con dignità.