Durante una conferenza del 2011 Umberto Eco spiegò che «esistono due forme di censura, una per sottrazione e una per moltiplicazione o eccesso»; per impedire che qualcosa venga detto o ascoltato ci sono insomma due vie: o impedire che venga appunto detto o impedire che una informazione venga percepita come rilevante annegandola in un contesto di informazioni inutili e illimitate controversie che durano lo spazio di un giorno. «Il problema -precisa Eco- è legato all’abbondanza delle informazioni e alla possibilità di selezionare la loro attendibilità» perché «cultura è anche capacità di buttar via ciò che non è utile o necessario». Inoltre, mentre la prima forma di censura alimenta i movimenti che combattono per la libertà di espressione, la seconda forma è inafferrabile e ci rende piuttosto inerti, distratti e comunque incapaci di organizzare una risposta efficace.

La difficoltà di identificare -nel pentolone in cui ribollono le informazioni più disparate- quelle veramente rilevanti, collocarle nel corretto contesto e trarne giudizi motivati, sta generando -in modo sempre più evidente- un nuovo preoccupante fenomeno. Accade che, invece di far emergere le diverse letture politiche della realtà e mettere a confronto le diverse visioni economiche e sociali rispetto agli eventi e alle decisioni da prendere, si estrae dal pentolone una singola porzione di spezzatino e si aizzano i contendenti a schierarsi, polemizzare, dividersi sul singolo tema, totalmente decontestualizzato, “isolato” il più possibile dalle suo quadro di significato complessivo. C’è la settimana del coprifuoco, quella delle unioni civili, i giorni del gender gap, il triduo dell’antirazzismo, quello delle ciclabili e -a intermittenza- quello dell’immigrazione, finendo così per frammentare e banalizzare argomenti serissimi, riducendoli a puntate uniche (inevitabilmente generiche) su cui raccogliere i pro e i contro dei contendenti.

In direzione diametralmente opposta alla ricerca della sintesi politica, vengono proposti all’attenzione del pubblico singoli argomenti intorno ai quali si aggregano e si disgregano di volta in volta consensi trasversali che durano fino al “reset” imposto dal tema successivo. Sembra non importare più la matrice valoriale unificante delle opinioni espresse; al contrario, le polarizzazioni valoriali (destra-sinistra? privato-pubblico? welfare state-terzo settore? …) scolorano sempre più per lasciare il posto alle provvisorie aggregazioni sulla “porzione di spezzatino”. Poi, altro giro altra corsa, si riparte daccapo.

Apparentemente questa informazione, spezzettata e facilmente fruibile, sembra allargare e democratizzare il dibattito pubblico: peccato però che funziona solo a condizione di rinunciare alla complessità, pagando alla polarizzazione/semplificazione un prezzo altissimo, quello di favorire la polemica superficiale e impedire la crescita della consapevolezza e il dibattito vero, quello che approfondisce le ragioni e porta a scelte motivate.

E’ la politica come Netflix: un catalogo ampio, ricco, per tutti i gusti; tanti argomenti, tante opinioni, tanti puntini… senza dover mai fare la fatica di unirli per comporre una figura di senso compiuto. Ci aspettano anni difficili, prestiti europei da spendere bene, politiche sociali da riorganizzare, investimenti sul lavoro e sulla produttività da tenere sotto controllo, impostazioni economiche sostenibili; ci servono proprio figure di senso compiuto, scelte consapevoli e durevoli, capacità di gestire la complessità… insomma più “Guerra e pace” che “La casa nella prateria”. #Celafaremo?