Giovedì scorso la Farnesina ha rilasciato questo comunicato: “La caduta il 26 ottobre di El Fasher, nel Darfur settentrionale, nelle mani delle Forze di Supporto Rapido (RSF) dopo un assedio durato oltre 18 mesi, segna un drammatico aggravamento della già devastante guerra civile in Sudan, con conseguenze umanitarie potenzialmente catastrofiche.”
Sicuri che si tratti solo del “solito” marginale conflitto africano?
E’ cronaca lontana o ci riguarda in qualche modo da vicino?
Il Darfur è una delle nove province del Sudan, situata nella parte occidentale del Paese, nel deserto del Sahara. Una regione -rispetto a noi- piuttosto remota (credo che non molti saprebbero indicarla con un dito su una cartina muta!) dei cui avvenimenti potremmo disinteressarci (e infatti…) inserendola mentalmente nella corposa cartellina delle guerre “dimenticabili”. Questa “remota” regione ha però una superficie di ben 493mila kmq (più di una volta e mezzo l’Italia): le sue ghiotte risorse auree e petrolifere unitamente ad un attrito etnico tra popolazioni arabe e non-arabe, hanno generato ed alimentato un conflitto che va avanti da almeno vent’anni.
Quando alcuni gruppi nella regione si organizzarono militarmente contro il governo centrale di Khartum, accusato di opprimere la popolazione del Darfur, il presidente rispose agli attacchi avviando una campagna di pulizia etnica contro la popolazione non-araba. La repressione provocò la morte di centinaia di migliaia di civili e il presidente del Sudan, Omar al-Bashir, fu accusato di genocidio e crimini contro l’umanità. Negli anni seguenti si sono succeduti numerosi colpi di stato e molti paesi “terzi” sono intervenuti nel conflitto sostenendo -a seconda degli interessi di ciascuno- chi le “Forze di Supporto Rapido” (RFS), chi le “Forze Armate Sudanesi”(SAF).
La scorsa settimana, dopo oltre 500 giorni di sanguinoso assedio, El-Fasher -capitale del Nord Darfur- è caduta nelle mani dell’RFS e oltre 260.000 persone sono rimaste intrappolate in città, costrette a sopravvivere in condizioni simili alla carestia, senza servizi sanitari e nessuna via di fuga sicura; si moltiplicano le notizie di uccisioni di massa, confermate dalle immagini satellitari. La crisi umanitaria è enorme, ma gli aiuti scarseggiano, complice la politica disumana dell’Amministrazione Trump che con il taglio al più grande progetto di assistenza del mondo, l’UsAid, ha condannato centinaia di migliaia di persone in giro per il mondo.
In questi ultimi due anni di guerra civile in Sudan si stima che siano stati uccisi 150mila civili e che 12 milioni di persone siano state costrette a lasciare le proprie case. Si tratta evidentemente di numeri spaventosi che fanno impallidire: 7,6 milioni di persone sono sfollate all’interno del Sudan e oltre 4 milioni di persone sono fuggite dal Sudan in cerca di sicurezza nei paesi confinanti, in particolare Egitto, Libia, Sud Sudan, Ciad, Etiopia e Repubblica Centrafricana. In Libia, l’UNHCR ha registrato oltre 20.000 rifugiati sudanesi e si stima che molti altri siano arrivati nella parte orientale del Paese.
Mi ripeto la domanda: si tratta solo di cronaca “lontana” o dovrebbe riguardarci in qualche modo “da vicino”? .
E’ scontato che una situazione così catastrofica ci interpelli sul piano umanitario e ognuno deciderà se e come intende dare una risposta in base alla propria sensibilità, ma è importante anche chiedersi come gli esiti di un conflitto di queste dimensioni si riverbereranno sulle decisioni politiche di chi ha responsabilità di governo.
Gli oltre 4 milioni di persone già fuggite dal Sudan dove cercheranno protezione?
L’UE e i governi dei singoli paesi membri continueranno ad insistere con le miopi e disumane politiche incentrate sul controllo delle “frontiere esterne”, vendendole come virtuosa “lotta ai trafficanti di esseri umani”?
Continueranno a finanziare direttamente (soldi, motovedette, armi, assistenza tecnica…) la reclusione, la tortura e l’eliminazione fisica dei migranti forzati nei paesi di transito?
Quando si decideranno ad affrontare il problema anziché negarlo, concordando una politica migratoria europea che preveda regole condivise di accoglienza, redistribuzione delle persone tra i paesi membri e obiettivi realistici di integrazione o rimpatrio assistito?
Il metodo Cutro (lasciamo fare al mare…) non è replicabile all’infinito: quanti altri “Cutro” dobbiamo aspettarci nei prossimi mesi?
