Si chiamavano “convergenze parallele”. Un’espressione che ha rappresentato il coraggio messo in campo da alcuni politici per risollevare l’Italia dalla più grave crisi politico istituzionale del dopoguerra.

Destra e sinistra in quegli anni erano divise ancora dalla cortina di ferro, a segnare un confine invalicabile, mentre i due principali partiti del Paese – DC e PCI – soffrivano di inconciliabili conflitti, frutto non solo di contrapposte ideologie, ma anche di storie personali e familiari che si trascinavano dai tempi della guerra e dalla dittatura fascista.

Basta un solo esempio per comprendere la drammatica situazione dell’Italia di allora. Nel 1976, durante il processo di Torino ai capi storici delle Brigate Rosse, non si trovavano cittadini disposti a far parte della giuria popolare, perché raggiunti da intimidazioni.

In un simile contesto, pur riaffermando una diversità  irriducibile (parallele = linee rette che non si incontrano mai), si ipotizzarono degli obiettivi comuni verso cui convergere con un programma di azione condiviso.

E così si arrivò al “compromesso storico” per un governo di solidarietà nazionale. Fu questa la coraggiosa proposta di due grandi politici, Enrico Berlinguer e Aldo Moro.

Ma il 16 marzo del 1978, giornata di apertura del dibattito parlamentare per la costituzione del nuovo esecutivo, le Brigate Rosse distrussero per sempre questo percorso virtuoso con il rapimento in via Fani di Aldo Moro.

A mio parere questa pagina della recente storia d’Italia ha molto da insegnarci:

  1. La ricerca di convergenze, il compromesso (se motivato e trasparente), possono essere il segno non di una debolezza, ma di coraggio. La forza di superare i propri punti di vista in favore di un bene comune.
  2. Le BR hanno fermato allora questo progetto politico con la violenza. Possiamo tollerare oggi che, ancora una volta, un simile percorso venga interrotto dall’arroganza di taluno?

E allora un affettuoso incoraggiamento al nostro premier. Forza Enrico!

Buona settimana.

Amedeo Piva