Nel 1770 a Potsdam, nei pressi di Berlino, c’era un mulino affittato al mugnaio Arnold. Il mulino utilizzava le acque provenienti da un fiume della zona. Un certo Barone von Gersdorf, proprietario dei terreni attraversati dal fiume, deviò gran parte della portata del fiume per costruire un lago artificiale e farne una pescheria. Il mulino di Arnold dovette fermare le macine: non potendo più lavorare iniziò a non pagare l’affitto e il Barone gli inviò lo sfratto. Il mugnaio Arnold fece ricorso al giudice competente che, forse anche corrotto dal Barone, gli diede torto e confermò lo sfratto. Arnold, convinto delle proprie ragioni, fece appello ad un altro giudice di grado superiore, ma anch’esso diede ragione al Barone. Arnold era amareggiato e rassegnato, ma la moglie, Rosina prese in mano la situazione, pronunciò la famosa frase “ci sarà pure un giudice a Berlino!” e iniziò a inviare istanze e ricorsi fino ai massimi organi giudiziari di Berlino ma anche questi -in diversi gradi di giudizio- condannarono il mugnaio. Rosina non si diede per vinta e continuò a lottare con carte e tribunali per anni fino a che la sua istanza arrivò sul tavolo del giudice supremo, il Re Federico II di Prussia, il quale -esaminate le carte della causa tra il mugnaio e il Barone- riconobbe le buone ragioni del mugnaio, perché, anche se formalmente legale, ritenne ingiusto che si obbligasse a pagare un affitto per un bene non usufruibile. Il Re non solo condannò il Barone, ma punì anche i vari giudici corrotti che avevano emesso le sentenze precedenti.
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La fiducia che, per quanto le prepotenze e le ingiustizie possano sembrare schiaccianti, ci potrà essere sempre un giudice onesto capace di far prevalere il diritto sulla forza è alla base della convivenza democratica: se questa fiducia viene meno perché la corruzione o il timore di dispiacere al potere politico condizionano la magistratura, viene meno un cardine essenziale dello stato di diritto nel quale anche il soggetto più debole può trovare giustizia contro il più potente, se ha la legge dalla sua parte.
Questa fiducia è la condizione che consente alle relazioni tra gli individui e tra le istituzioni di svilupparsi “protette” da un potere indipendente che ha l’autorità e l’autorevolezza di esprimersi sulle controversie che si generano a tutti i livelli. Che si tratti di un banale dissidio condominiale o di un delicato conflitto tra stati, il patto implicito che regge il diritto di rivolgersi a un “terzo” che giudichi la controversia, si basa sul riconoscimento da entrambe le parti dell’autorità e della terzietà del giudice.
Se questo patto viene meno e anche una sola delle parti ne disconosce la legittimità e decide di ignorarne le decisioni, si mina l’intero sistema di protezione che ci garantisce. E’ così per le sentenze di un qualunque tribunale ordinario ed è così per quelle della Corte Internazionale di Giustizia (CIG), l’organo giudiziario principale delle Nazioni Unite, che risolve controversie tra Stati o la Corte Penale Internazionale (CPI) che processa individui per crimini contro l’umanità.
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Alfredo Bazoli, deputato PD, ha recentemente osservato: “Quando il potere obbliga la magistratura, e dunque la giustizia, ad assecondare la propria volontà, anche a perseguire gli avversari, è la morte dello stato di diritto, il principio su cui si fonda la democrazia liberale, su cui si fonda la difesa dei diritti di tutti e di ciascuno di noi. È ciò che è accaduto in Polonia, in Ungheria, in Turchia, sta succedendo in Israele e soprattutto negli Stati Uniti di Trump. Chi pensa che ciò non potrà mai accadere in Italia si sbaglia.” Per Bazoli sottovalutare gli effetti di una riforma costituzionale della giustizia che ridisegna gli equilibri dei poteri in Italia ponendo le premesse per minare l’indipendenza della magistratura, è un drammatico errore di valutazione.
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Sono passati due secoli e mezzo dalla vicenda del mugnaio Arnold, ma la sua storia ha ancora molto da insegnarci. Che sia un insegnamento rassicurante o inquietante dipende dal tono con cui riusciamo a pronunciare oggi la frase della moglie “ci sarà pure un giudice a Berlino”: se riusciamo a pronunciarla con il punto esclamativo alla fine è certamente un insegnamento rassicurante, se invece temiamo di doverla pronunciare con un tono interrogativo (“ci sarà ancora un giudice a Berlino?)” lo scenario si farebbe inquietante… resterebbe solo da sperare che nessun Barone von Gersdorf decida di sfrattarci dal nostro mulino.
Le regole del gioco non sono un accessorio facoltativo: senza regole vince sempre e solo il più forte.