Malgrado -a rigor di calendario- manchino ancora un paio di settimane, l’estate è evidentemente già arrivata. Scuole chiuse, con grande gioia di genitori incastrati tra costosi centri estivi e nonni nominati sul campo custodi straordinari; caldo improvvisamente intenso, ipotetici piani ferie che -per numero di variabili- rivaleggiano con la manovra finanziaria…; insomma, come tutte le estati viste da giugno, anche questa sembra avviarsi nella consueta direzione.

C’è però -nell’estate di questo 2025- una latente inquietudine che contrasta con l’idea estiva di un rallentamento dei normali ritmi, di un tacito accordo di sospensione delle urgenze in attesa della “ripresa autunnale”, come se non fossimo sicuri di ritrovare a settembre il mondo così come lo abbiamo lasciato a giugno.

L’incessante flusso di notizie dai conflitti russo-ucraino e israelo-palestinese fa ormai parte del nostro quotidiano con una inquietante prossimità: il numero delle vittime, il moltiplicarsi delle ostilità e l’incapacità anche solo di immaginare vie d’uscita percorribili, sembrano spingerci verso la rassegnazione. Nobili appelli alla pace, accorati inviti al buon senso, raffinate analisi geopolitiche, vertici annunciati, inviati speciali… tutto sembra avere un tratto comune: la totale impotenza.   Ci risulta più facile dimenticare (anche perché non ce ne parla nessuno) i sanguinosi conflitti in corso in Sudan, Myanmar, Etiopia, Congo, meno facile invece ignorare quelli che minacciano di avere conseguenze dirette sui nostri costi energetici, sulla nostra mobilità, sui flussi migratori.  

Anche l’evoluzione politica e sociale imposta dalla nuova presidenza degli Stati Uniti (la pantomima dei dazi, i toni minacciosi, la continua alternanza di minacce apocalittiche e siparietti concilianti…) non quadra con l’idea di un’estate rilassata e rilassante: non sono sparite solo le mezze stagioni in senso climatico, è sparita anche l’alternanza tra periodi “normali” e periodi di “crisi”, la giostra continua a girare velocemente e risulta sempre più difficile riflettere, progettare, programmare a lungo termine con adeguata serenità.

Guardando i nostri figli e nipoti crescere in questo scenario -che ci appare così precario e imprevedibile- sorge una certa preoccupazione: ci chiediamo se e come se la caveranno, confrontiamo le loro prospettive con quelle -più stabili e promettenti- che potevamo immaginare noi alla loro età…, ma poi ci ricordiamo che è solo l’ennesima replica del passaggio tra le generazioni. 

Per fortuna a nessuno viene chiesto di vivere più di una vita e nessuno saprà mai davvero fino in fondo in che modo le attese, le speranze, le delusioni e i successi si mescolano nella mente e nella sensibilità di ciascuno. Crediamo forse di sapere quali pensieri, paure e sentimenti si affollassero nelle menti dei nostri nonni o bisnonni? Crediamo davvero che fossero così diversi -per intensità e importanza- dai nostri?

Spero davvero che questa estate -benché “diversa”- possa segnare un significativo cambiamento nei conflitti in corso e che a settembre i telegiornali, piuttosto che di morti e distruzioni, ci raccontino di trattative e mediazioni. Tuttavia è bene non dimenticare che le situazioni in cui ciascuno si trova a vivere e i problemi ai quali deve far fronte sono imprevedibili per chiunque e che l’incidenza dello scenario storico e politico sulla vita di ciascuna persona è spesso sopravvalutata. Quanto ciascuno si considera felice o insoddisfatto di se stesso dipende più dalla sua capacità di reagire nel modo più opportuno alle difficoltà che dalle difficoltà stesse.

E’ la stessa cosa anche in autunno, in inverno e in primavera, ma -visto che siamo a giugno- buona estate a tutti.