Due settimane fa, concludevo questa newsletter settimanale scrivendo: Morto un papa se ne fa un altro il quale -come ciascuno dei suoi predecessori- avrà la sua propria visione della chiesa, della storia e del rapporto tra la prima e la seconda. Io spero che dal conclave esca qualcuno capace di coniugare credibilmente la fede religiosa con la storia degli uomini, capace di immaginare percorsi ai quali possiamo appassionarci e che sappia trovare il linguaggio giusto per proporceli.”  Ovviamente non sappiamo ancora se questo nuovo papa, cittadino dell’Illinois e cittadino del Perù (dunque compiutamente americano e non solo statunitense) sarà “capace di coniugare credibilmente la fede religiosa con la storia degli uomini”, ma (almeno) un paio di indizi ci fanno ben sperare.

 

Un primo indizio è il nome che ha scelto. Se all’inizio potevano esserci dei dubbi sulla ragione della scelta, lui stesso ha chiarito a quale Leone intendeva “collegarsi”. Il card. Ladislav Nemet, arcivescovo di Belgrado, ha riferito: “Abbiamo parlato e gli abbiamo chiesto come ha scelto il nome. (…) Ha detto che siamo dentro una nuova rivoluzione: ai tempi di Leone XIII era in corso una rivoluzione industriale, adesso è in corso una rivoluzione digitale (…).” 

Come è noto, l’avvento della rivoluzione industriale e l’accrescersi delle tensioni sociali alla fine del XIX secolo spinsero Leone XIII ad affrontare il tema del mutamento della società e del mondo del lavoro. La sua enciclica Rerum Novarum (1891), pose le basi per una dottrina sociale della chiesa, modernizzando il modo in cui questa si rapportava alle nuove realtà economiche e promuovendo una maggiore giustizia sociale.

Oggi si affacciano con invadenza nella storia degli uomini altre “rerum novarum che stanno alterando gli equilibri tra gli individui e le società. Il modo in cui gli uomini hanno organizzato le relazioni sociali sta mostrando tutti i suoi limiti ed è forte l’esigenza di avere -in questo contesto- indicazioni valoriali alle quali riferirsi per lavorare a soluzioni accettabili. Forse questo nuovo Leone potrebbe riprendere il filo del Leone precedente: è lecito augurarselo.

 

Un secondo indizio deriva dalla sua biografia nella quale i periodi trascorsi negli Stati Uniti, quelli trascorsi in Perù e quelli trascorsi a Roma si alternano significativamente nell’arco di quasi quarant’anni.  All’età di 30 anni, una volta diventato prete e concluso il noviziato agostiniano in Missouri, Robert Prevost lascia Chicago e viene mandato in Perù dove rimane -tranne alcune brevi parentesi- per 14 anni.   Seguono 2 anni di nuovo in Illinois e poi un lungo periodo -12 anni- a Roma come Priore generale degli agostiniani. Al termine del mandato torna in Perù dove viene nominato vescovo di Ciclayo e vi resta per circa 7 anni; poi di nuovo a Roma dal 2023 con incarichi nei dicasteri vaticani fino a giovedì scorso. 

Complessivamente -dopo gli anni della sua formazione- ha trascorso ben 21 anni in Perù, 14 a Roma e 4 negli Stati Uniti, suo paese di origine.

E allora qual è l’indizio che deriva dalla sua biografia? Leone XIV appartiene profondamente a tre culture, padroneggia pienamente tre lingue e ha condiviso dall’interno -per lunghi anni- tre società connotate da sensibilità e condizioni molto diverse. Questa ricca esperienza -personale e sociale- gli offre potenzialità eccezionali, che gli saranno estremamente utili per “coniugare credibilmente la fede religiosa con la storia degli uomini” e proporcela con il linguaggio giusto.

Forse -come dicono nei film gialli- “due indizi non fanno una prova”…, ma autorizzano certamente a sperare! E allora auguri a Leone XIV di buon lavoro e a noi di riuscire a fidarci (almeno un po’).