Un anno fa, all’improvviso, ci siamo ritrovati in un incubo ad occhi aperti, pieni di domande e con pochissime risposte. Come si trasmette, quali sono i primi sintomi, e la mascherina, i guanti, il disinfettante, che ti succede se ti contagi? Poi il primo lockdown, lo sconcerto, la paura dell’ignoto. Tutti a cercare su internet come fu per la “spagnola” di cent’anni fa: quanto durò, come finì, quanti morti procurò… poi le canzoni sui balconi, gli arcobaleni, “andrà tutto bene”… era la speranza “sperata”, la speranza travestita da certezza per non cedere alla paura.

Oggi, un anno dopo non è la stessa cosa. 

Dopo più di tre milioni di contagiati e più di centomila morti ne sappiamo qualcosa di più: siamo stanchi ma non disperati, innervositi ma non atterriti. Abbiamo cambiato abitudini, ritmi e modo di essere. Molti hanno perso il lavoro e la fiducia, e siamo di nuovo in lockdown, ma oggi non dobbiamo accontentarci solo di una speranza “sperata”, oggi abbiamo una speranza “fondata”. Oggi sappiamo che molti contagiati sono già guariti (più di due milioni e mezzo, tra cui io); oggi abbiamo i vaccini e oltre sei milioni di persone lo hanno già ricevuto; oggi sappiamo come organizzarci per fronteggiare la diffusione… il problema è ancora grave, ma almeno sappiamo che è un tunnel, non un pozzo senza uscita.

Dobbiamo stare attenti ad alcune insidiose tentazioni: quella di sentirci sospesi, parcheggiati in una vita ridotta, senza gioie, una specie di latente depressione; quella di cedere alla rabbia, di immaginare complotti e di cercare nemici. Al contrario dobbiamo coltivare la speranza come un dovere e praticare la pazienza come una virtù. 

L’angustia più grande è la consapevolezza di quanto sia ineguale il carico: più facile avere pazienza per chi ha un lavoro tutelato e un reddito garantito, un dramma per chi è scoperto; più semplice per chi non ha familiari a carico, complicatissimo per chi ha i figli da gestire o i genitori anziani; tollerabile per chi è in salute, molto meno per chi ha patologie croniche e terapie da seguire… è come se le inevitabili differenze di situazione si fossero acuite bruscamente, presentando il conto più salato a chi è più fragile. Sacrosanti i ristori, i sostegni e i vari bonus, ma non basta: deve essere l’occasione per riportare in primo piano l’impegno per la diminuzione delle ineguaglianze anche quando dal tunnel saremo usciti. Proprio in riferimento all’urgenza di questo impegno vale la pena ricordare il monito di papa Francesco a maggio dello scorso anno: “Peggio di questa crisi c’è solo il rischio di sprecarla”.

Nella difficile situazione politica che stiamo attraversando mi rallegro della elezione di Enrico Letta a segretario del Partito Democratico. Enrico ha partecipato in più occasioni al percorso e alla crescita della nostra associazione “Amici per la Città” e l’augurio di riuscire a raggiungere efficacemente gli obiettivi che ha tratteggiato nel suo discorso di ieri è un augurio che facciamo più a noi che a lui. La sua ottima sintesi “Progressisti nei valori, riformisti nel metodo, radicali nei comportamenti” mi ha ricordato da vicino temi e incontri che abbiamo condiviso e approfondito con l’associazione. Anche questa elezione è una speranza, di quelle “fondate”.