Immaginiamo di dover comporre un puzzle impegnativo, un puzzle che richieda anni di lavoro, i cui pezzi non siano però già tutti nella scatola ma ci vengano forniti un po’ alla volta e in cui il disegno da comporre non sia predefinito nei dettagli, ma solo indicato nei suoi tratti essenziali e nel progetto complessivo. I giocatori, con ampio margine di creatività, devono armonizzare e collegare ciascun nuovo pezzo alla parte già realizzata. Immaginiamo che -a un certo punto della storia- i pezzi forniti comincino a presentare stranezze, ad avere forme, dimensioni e dettagli non armonizzabili con il lavoro precedente rispetto al quale appaiono invece in stridente contrasto, come se facessero parte di un altro puzzle, un altro disegno, un altro intento…. Che fare? Abbandonare il vecchio progetto? Cercare in tutti i modi di includere i pezzi anomali forzando la connessione? Rifiutarli e ignorarli? Rinunciare?
Non è forse di questo tipo l’incertezza in cui ci troviamo? Nel segmento di storia che faticosamente stiamo vivendo erano state concordate, dopo la seconda guerra mondiale, alcune regole di convivenza tra popoli e paesi: creazione e riconoscimento di organismi globali di dialogo e coordinamento, processi decisionali democratici, composizione pacifica dei contrasti, principi e limiti da rispettare nelle rispettive legislazioni nazionali, nei rapporti commerciali, nelle relazioni internazionali.
E’ vero, non tutto ha funzionato, non tutti i conflitti sono stati evitati, non tutti i limiti sono stati rispettati, ma nessuno -in modo formale- aveva finora platealmente rinnegato la condivisione di quelle regole decise dopo il bagno di sangue di quel conflitto che aveva coinvolto, ferito e spaventato tutti.
Adesso -purtroppo- sembra che quel meccanismo di tutela si stia sgretolando sotto i nostri occhi: chi infrange platealmente le regole di convivenza tra paesi e popoli lo fa ormai senza neppure cercare fittizie giustificazioni o alibi al proprio operato! Sembra si sia avviata un sfacciata gara a chi più orgogliosamente ignora regole e accordi in nome del proprio interesse di parte, di presunte superiorità etniche e culturali, di ambizioni di espansione territoriale o di monopolio commerciale… sfidando -sul piano della forza- chi non ci sta.
Non è una mutazione evolutiva: è una drammatica regressione alla legge del più forte messa in atto da chi ha la memoria corta e l’orizzonte temporale asfittico, da chi privilegia il proprio interesse (spesso solo personale!) rispetto ad un vantaggio collettivo di lunga durata. Non sono solo difettosi i pezzi del nostro complicato puzzle… appartengono ad un altro puzzle che contraddice e distrugge il progetto che avevamo scelto. Non è certo la prima volta -nella storia- che vanno in pezzi equilibri politici, economici e sociali… la differenza è che questa volta tocca a noi! Tocca a noi ritrovarci senza alcune fondamentali certezze che sembravano ormai acquisite; tocca a noi reinventare e costruire nuovi equilibri condivisi (anche perché se non fossero condivisi non funzionerebbero); tocca a noi ricordare le validissime ragioni per le quali quelle regole furono concertate.
Non è la prima volta che succede, ma questa volta ricostruire il consenso intorno alla necessità di un nuovo equilibrio appare più difficile delle altre volte per almeno tre aspetti: la capillarità e la simultaneità dell’informazione (impossibile da arginare); la crescente difficoltà a distinguere tra contenuti veri e falsi (l’intelligenza artificiale sta complicando enormemente le cose); la “corruzione” del linguaggio (molte parole hanno perso il significato univoco che avevano).
Nella speranza che la “frattura” a cui stiamo assistendo sia transitoria (perché prodotta da leader che non hanno la statura e l’equilibrio necessari), cerchiamo di coltivare antiche e sempre preziose virtù: la prudenza nel valutare, l’equilibrio nel giudicare e la sobrietà nei registri che utilizziamo per comunicare. Non sono virtù da vecchi, sono evergreen: «Mi piace il giovane in cui c’è qualcosa di vecchio, così come mi piace il vecchio in cui c’è qualcosa di giovane.» (Cicerone, De senectute)