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Soprattutto in occasione di disastri come le alluvioni di questa settimana, le cui cause -con il proverbiale “senno di poi”- il giorno seguente tutti scoprono fossero chiarissime e prevedibili, ci capita spesso di leggere notizie del tipo “erano stati stanziati 8 miliardi… ma non siamo stati capaci di spenderli” oppure “siamo riusciti a spendere solo il 30% dei fondi strutturali europei a noi destinati e il 70% lo abbiamo perso”…. Sembra assurdo che non si “riesca” a spendere soldi disponibili, tanto più quando il loro impiego riguarda opere e attività sulla cui necessità tutti sembrano concordare.

Come è possibile allora che -pur disponendo delle risorse necessarie- interventi importanti non arrivino ad essere realizzati o progetti socialmente rilevanti ed urgenti non vedano la luce?

La spiegazione dell’enigma è nel significato dell’espressione “fondi disponibili”. Nella nostra economia familiare i soldi “disponibili” sono quelli che abbiamo sul conto e che possiamo quindi spendere per quello che ci occorre o che intendiamo realizzare; non ci sembra così difficile e impegnativo “spenderli”, la parte difficile e impegnativa è guadagnarli! Per quanto riguarda invece i fondi pubblici la faccenda si complica: “stanziati” non significa averli sul conto, significa solo che può essere possibile disporne perché l’ente che ne è responsabile (l’Unione Europea, il Governo nazionale o l’Ente locale) ne ha approvato il tipo di utilizzo; ma perché quella disponibilità si trasformi in fatti, opere e servizi reali, il viaggio è lungo, i passaggi sono molti (spesso troppi) e succede che in qualche passaggio il cammino si inceppi e i soldi non possano essere spesi. Ad essere precisi, invece di dire “non siamo stati capaci di spenderli”, dovremmo dire “non siamo stati capaci di darci dei tempi e di rispettarli”.

Troppo spesso il tempo complessivo per fare una cosa diventa -passivamente- solo la somma aritmetica dei singoli passaggi. Quante volte, se in un ufficio pubblico insistiamo per sapere quanto tempo occorrerà per avere una risposta, per ottenere una certificazione, per verificare un rendiconto… ci sentiamo rispondere “ci vuole il tempo che ci vuole”? Come se il “tempo che ci vuole” non fosse calcolabile, programmabile; non fosse -a sua volta- la somma di altri micro passaggi che però nessuno ha voglia o possibilità di verificare… in sostanza un tempo di cui nessuno vuole sentirsi responsabile.

Sappiamo bene che i diversi passaggi burocratici sono necessari per garantire trasparenza e controllo, sappiamo anche che le lentezze amministrative scontano spesso organici insufficienti e iter farraginosi ed è comprensibile che chi ha la responsabilità di decidere voglia essere sicuro di quello che firma, ma -alla fine- se il tempo complessivo per autorizzare la spesa rende impossibile la realizzazione dell’opera o l’attivazione del servizio… viene meno la ragione stessa di tutto l’iter! 

E’ un paradosso da cui bisogna uscire: o il tempo complessivo per l’iter autorizzativo di una spesa è compatibile con la ragione per cui quella spesa deve essere fatta o si devono semplificare i passaggi rammentando -tra l’altro- che non sempre la complessità è proporzionale all’efficacia, anzi spesso è il contrario.

Tra i fondi stanziati e quelli spesi, cioè tra il dire e il fare, non c’è di mezzo il mare, c’è di mezzo un tempo; ma, se questo tempo si dilata fino ad impedire che il fare diventi realtà, diventa tempo sprecato.