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Alzi la mano chi non ha mai detto, allargando le braccia: “Mi dispiace, ma è una questione di principio”. Sono appassionanti le questioni di principio, sono limpide, senza sbavature, eticamente  impeccabili, perché così sono i princìpi: assoluti e perfetti, la realtà e la storia degli uomini invece sono sempre approssimative e imperfette. Il verbo testimoniare riguarda i princìpi, il verbo governare riguarda la realtà; la testimonianza si valuta per la sua coerenza, il governo per la sua efficacia, cioè per la capacità di ottenere risultati, che saranno comunque imperfetti e frutto di mediazioni.

Allo stato puro i principi esistono solo come enunciati, nella realtà esistono -in percentuali variabili- quando li decliniamo nelle decisioni e nei comportamenti. Ai princìpi accade una cosa simile al “titolo” dei metalli preziosi, c’è l’oro puro a 24 carati (99,9% di oro) e ci sono i braccialetti appena dorati in superficie: il “titolo” dei princìpi dipende da quanto noi riusciamo a declinarli nelle nostre decisioni e da quanto ogni specifica situazione ci consente oggettivamente di farlo.

Non dobbiamo però esasperare la differenza tra testimoniare e governare come se fossero due poli opposti, tipo “pulito contro sporco” o “purezza contro compromesso”, non faremmo un buon servizio né al testimoniare né al governare e renderemmo più difficoltoso il cambiamento, alimentando incomprensioni e rigidità. Senza sale non c’è sapore, ma di solo sale non si vive. Dovremmo piuttosto imparare a bilanciare meglio le due tentazioni: quella di essere troppo pragmatici rischiando di ibernare i valori e quella di essere troppo ideologici rischiando di allontanarci dalla realtà e non riuscire a migliorarla. Quando ci sentiamo portati ad essere paladini dei valori duri e puri…è allora che abbiamo bisogno di una iniezione di realismo, quando invece ci sentiamo paladini del pragmatismo dovremmo domandarci -in coscienza- a quanta percentuale di valori stiamo abdicando.

Trovare il giusto equilibrio tra princìpi e realtà è importante sempre, ma diventa determinante quando si tratta di decidere alleanze e strategie politiche. Se fosse possibile fare alleanze e strategie sempre tra soggetti che condividono la stessa storia, gli stessi riferimenti culturali e lo stesso linguaggio, non ci sarebbe niente da mediare e nessuno dovrebbe rinunciare a qualcosa; il problema si pone quando le alleanze -per essere strette- esigono invece rinunce e mediazioni e diventa complicato valutare fino a che punto ci si può spingere senza perdere la propria identità. Sarebbe però ingenuo non tener conto delle regole del gioco: se per difendere la nostra identità ci arroccassimo in sterile solitudine, saremmo certamente luminosi testimoni dei princìpi, ma rinunceremmo al compito di declinarli nei fatti e nelle scelte politiche concrete.

Credo -in sostanza- che la vera questione non sia cosa scegliere (tra testimoniare o governare), ma piuttosto come riuscire a testimoniare e governare allo stesso tempo, tenendo il più alto possibile il livello della testimonianza e quello dell’efficacia.

E’ fatica? sì. E’ difficile? sì. Si può evitare? no. Non è evitando i rischi che riusciremo a cambiare le cose, ma valutandoli e gestendoli con prudenza, sapendo già che non sarà una gita aziendale.