ROMA VITTIMA DI SE STESSA

Roma non è un’entità astratta sempre uguale a se stessa. La città reale (non quella di “Vacanze romane”, dei turisti e delle cartoline) ha bisogno di maggiore efficienza, di cassonetti svuotati, di trasporti pubblici affidabili, di manutenzione stradale ma -per quanto sia importante- neanche questo è sufficiente: quello che manca di più è la voglia di un orizzonte più ampio, di una progettualità di lungo respiro. I romani hanno bisogno di tornare a credere di poter crescere, di sentirsi alla vigilia di un futuro non al tramonto di un passato.

Ho partecipato venerdì scorso al convegno promosso dall’ACER “Spunti e riflessioni sulle prospettive di rilancio per Roma” ed è emersa chiara l’esigenza “respirare profondo”, di non appiattirsi sull’emergenza, una esigenza della quale molti romani stanno perdendo il gusto e sottovalutando l’importanza. Perché altre città –ad esempio Milano- crescono, cambiano, creano lavoro e Roma sembra stare ferma a leccarsi le ferite? Da dove viene questa disaffezione, questa stanchezza? Perché -a tutti i livelli dai condomìni al consiglio comunale- i no prevalgono sui sì, i conflitti sugli accordi, i veti incrociati sulla progettualità? Sicuramente una buona amministrazione della città è importante, ma -non illudiamoci- da sola non basterà. Abbiamo ora un ottimo sindaco che sta imbastendo indubbiamente buoni progetti (l’implementazione dei servizi di prossimità, il termovalorizzatore, la città dei 15 minuti, la candidatura ad Expo2030…), ma non potrà arrivare lontano se i romani non reagiranno al torpore culturale che li ha presi.

Non sono romano di nascita, ma dopo quasi quarant’anni anche una casa temporanea la senti come se fosse tua… se poi ci hai investito tempo ed affetto, hai dato una mano a sistemarla, ci hai piantato degli alberi e ci vivono i tuoi figli e nipoti, allora è proprio diventata casa tua e ti dispiace vederla scolorire e intristirsi. A Roma serve una reazione capace di uscire una volta per tutte dall’equivoco che basti denunciare i problemi perché essi scompaiano e -se non succede- aggiungere la mancata scomparsa alla lista delle lagnanze. E’ un equivoco letale: la denuncia dei problemi può essere il sintomo di quanto la loro soluzione ci sta a cuore e la premessa della nostra collaborazione oppure può essere il sintomo di quanto ci piace sentirci vittime e la premessa del nostro disimpegno.

Il proverbiale cinismo romano, la flemma saggia, la saggezza che non ha bisogno di agitarsi si stanno trasformando in palude, inazione, pigrizia rancorosa. Dove sono finiti l’entusiasmo, il piacere di progettare e l’orgoglio di fare? A Roma non può bastare piangersi addosso e fare la vittima, un passato prestigioso deve essere un pungolo, non un alibi.

 

Roma nebbia