A Danzica, il 1° settembre del 1939, una corazzata tedesca appena ormeggiata in visita di cortesia aprì il fuoco contro la fortezza di Westerplatte e diede inizio all’invasione della Polonia e alla seconda guerra mondiale. Danzica diventò proverbiale per il titolo di un articolo di Marcel Déat “Morire per Danzica?”. Vale la pena morire per Danzica? -si chiedeva il politico francese- vale la pena intervenire in qualche modo?  Rischiare per qualcosa che non ci tocca direttamente? Marcel Déat concludeva che no, non ne valeva la pena, ma aveva torto: neanche dieci mesi dopo i tedeschi entravano a Parigi, la Francia capitolò e restò occupata per quattro anni.

Si può sicuramente sostenere che Kiev non è Danzica e spiegare perché Putin non è Hitler e il 2022 non è il 1939, ma molte analogie sono inquietanti. Nessuno sta chiedendoci di rischiare la vita per l’Ucraina, ma noi facciamo fatica anche solo a concordare il tipo di sanzioni. Come osserva QUI Antonio Polito- “Nel 1939 gli europei si domandavano se valesse la pena «morire per Danzica», oggi non sembrano disposti nemmeno a un weekend di austerity per Kiev.”. La posta in gioco -economica e politica- è molto alta, “questa crisi che sta mettendo a repentaglio l’assetto geopolitico su cui si fonda da trent’anni il progetto dell’UE e presto metterà alla prova anche la sua compattezza e unità”.

Molti invocano un impegno più incisivo delle sole “sanzioni”, un impegno europeo più esplicito ed efficace, fino ad arrivare ad un intervento militare -magari con finalità solo deterrenti e dissuasive (ma è possibile? che si fa se poi la dissuasione non funziona? si torna a casa?)- che renda visibile il coinvolgimento europeo a contrasto dell’invasione russa. Ma se pure si arrivasse a questo, in cosa consisterebbe il nostro personale coinvolgimento? Nella esposizione simbolica di qualche centinaio di giovani europei alle frontiere rumene o polacche? Cosa siamo disposti davvero a rischiare per non essere solo imbelli spettatori? Nulla da solo è risolutivo, ma certamente quello che non costa niente non ha neppure una grande efficacia: spostare dalla Russia la finale di Champions League e il GP di automobilismo non richiede grande eroismo, sospendere l’operatività di alcune banche russe e congelare il patrimonio di qualche oligarca non ci tocca né nel cuore, né nel portafoglio… ma saremmo disposti a sospendere le importazioni di gas sopportando bollette ancora più care o a ridurre sensibilmente la temperatura di casa e dell’acqua della doccia? Saremmo devastati o “orgogliosi” di pagare sulla pelle una parte del prezzo di un’azione più efficace e di una prossimità meno teorica?

Venerdì scorso, in occasione dell’accensione della fiaccola benedettina nella basilica di Norcia, il presidente Mattarella ha affermato: “Il mondo che ha saputo superare la guerra fredda, questo mondo non intende vedere calpestati i principi della convivenza internazionale. I popoli d’Europa non possono essere disposti a piegarsi alla violenza della forza oggi utilizzata per sottomettere un paese indipendente come l’Ucraina, ma domani non sappiamo per quali altri obiettivi. L’Europa rischia di precipitare in una spirale di guerra, in un vortice di conflitti dei quali appare impossibile prevedere sviluppi, coinvolgimenti, estensioni: nessuno potrebbe esser certo di restarne del tutto immune. La pace è in pericolo. Per essa, per la pace, per l’affermazione dei valori di libertà gli italiani devono essere intransigenti, determinati e uniti.”. Non sappiamo ancora bene “come” questa nostra intransigenza, determinatezza e unità possano riuscire -oltre a riaffermarli-  a far prevalere efficacemente la pace e i valori di libertà, ma io sono disposto a sacrificare più di qualche grado della temperatura di casa e dell’acqua della doccia. Non è molto, ma vale di più di un qualunque “Je suis Kiev” sui social.