Walter Ricciardi, già presidente dell’Istituto Superiore di Sanità e rappresentante dell’Italia all’Organizzazione Mondiale della Sanità, ha pubblicato giovedì scorso su Avvenire una amara riflessione (La lezione ignorata) a proposito del voto dell’Italia, che si è astenuta, sulla introduzione di un “Trattato pandemico globale” che consentisse all’OMS di vincolare maggiormente gli Stati membri a misure condivise -basate sull’evidenza scientifica- per evitare che misure diverse creassero drammatiche conseguenze (come quella che -in Italia- ha causato la seconda ondata del Covid -con oltre 70.000 morti- partita da un contagio avvenuto tramite cittadini inglesi che erano andati a sciare in Svizzera, paese che -contrariamente al nostro- non aveva chiuso gli impianti sciistici, attirando molti italiani che si sono infettati lì riportando il virus nuovamente in Italia e facendo ripartire l’epidemia.)

“Una delle lezioni più importanti apprese durante la lotta al Covid 19 -scrive Ricciardi- è stata la constatazione dell’inadeguatezza delle regole internazionali in vigore per evitare le pandemie insieme alla necessità di modificarle. Ogni Paese era infatti libero di prendere le proprie decisioni senza vincolo alcuno, e questo comportava che il circolo contagionistico non veniva mai definitivamente interrotto, con il conseguente riavvio di nuove ondate epidemiche. Per questo già nel 2021 era iniziato il dibattito per introdurre un Trattato pandemico globale che consentisse all’OMS di avere più poteri nel vincolare gli Stati membri a misure basate sull’evidenza scientifica e a non fare di testa propria soggiacendo a stimoli populistici. Finalmente lunedì scorso, durante l’Assemblea annuale, la stragrande maggioranza dei Paesi ha approvato una misura veramente storica.”. 

Al momento del voto -però- l’Italia si è astenuta insieme a Russia, Iran, Bulgaria, Polonia, Giamaica, Israele, Romania, Paraguay, Guatemala e Slovacchia, malgrado che -con il governo precedente- fosse stata uno dei Paesi promotori della prima bozza di trattato. Così ha giustificato l’astensione il ministro per la salute Orazio Schillaci: “Con l’astensione odierna l’Italia intende ribadire la propria posizione riguardo alla necessità di riaffermare la sovranità degli Stati nella gestione delle questioni di sanità pubblica”. La mossa del nostro Governo appare evidentemente dettata da considerazioni prettamente politiche, con l’effetto di relegare l’Italia in un circolo di Paesi governati da autocrazie o di debole cultura e tradizione democratica, isolandoci su un argomento così importante per la salute dei cittadini su cui dovremmo essere tutti uniti.

Sempre la scorsa settimana, il governo Meloni -nel Consiglio dell’ Unione composto dai ministri degli Esteri e della Difesa- ha votato contro l’avvio di una revisione dell’accordo di alleanza con Israele, approvato da diciassette Paesi membri dell’Ue alla luce del persistente rifiuto israeliano di consentire l’accesso agli aiuti umanitari nella striscia di Gaza. L’Italia si è opposta insieme ad altri dieci paesi, netta minoranza in termini di quantità di cittadini: Ungheria, Croazia, Bulgaria, Cipro, Grecia, Repubblica Ceca, Lituania e Germania (astenuta la Lettonia). 

Sembra che il governo italiano -in questa circostanza e non solo- sia ossessionato dall’ansia di distinguersi sempre in qualche modo dagli altri membri della UE, dal rivendicare la sua differenza, dal rischio di sembrare troppo europeo. Una china pericolosa proprio nel momento in cui è più urgente e importante rafforzare i legami che uniscono la comunità.
Quest’ansia di distinguersi sembra -in molti casi- la versione istituzionale del famoso dubbio di Nanni Moretti nel suo film Ecce Bombo: “Mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente?”.  Sentirsi e manifestarsi diversi può certamente essere -a seconda delle circostanze- segno di virtù, di coraggio, di coerenza, di sfida… ma l’importante è che non diventi una necessità. In quel caso è segno di una patologia.