ASCOLTA L’ARTICOLO QUI

La possibilità che abbiamo di essere informati in tempi rapidissimi sugli eventi più disparati non ha confronti con quella del passato, anche recente.

Possiamo conoscere in tempo reale la storia del ragazzino di Belgrado che ha ucciso i suoi compagni di scuola, quanti morti sta provocando la guerra civile in Sudan, cosa ha detto il ministro francese sulle politiche migratorie del governo italiano e come ha reagito palazzo Chigi e cosa pensa l’opposizione della reazione e come ha replicato l’Eliseo. 

Pur apprezzando e utilizzando l’ebbrezza di poter accedere a qualunque informazione vogliamo, vedo due rischi nascondersi nelle pieghe di questo “dono” che la tecnologia ci consente di utilizzare.

Il primo rischio si annida nel fatto che quasi tutte le informazioni a cui accediamo hanno in comune una caratteristica: la nostra impossibilità di interferire. Possiamo sapere tante cose ma -appunto- possiamo solo saperle, possiamo solo esserne spettatori. E’ in agguato l’illusione di confondere la possibilità di “sapere-guardare-ascoltare” con quella di “intervenire-modificare-migliorare” e considerare la seconda solo marginale e improbabile, accontentandoci del ruolo di passivi osservatori e rinunciando a chiederci se e come poter essere agenti di cambiamento.

Forse in altri tempi, quando le informazioni disponibili erano più limitate nel numero e nella distanza, era più spontaneo il chiedersi se e come poter intervenire fattivamente avendo ben chiara la differenza tra il piano del sapere e quello del fare. E’ sicuramente interessante apprendere che sono in crescita gli anziani soli e in difficoltà, ma forse sarebbe ancor più interessante sapere come poter essere d’aiuto in qualche modo; è sicuramente utile un reportage sulle buche nelle strade della mia città, ma forse sarebbe utile anche un indirizzo mail per poterle segnalare a chi deve occuparsene.
E’ improbabile che potremo interferire direttamente con la guerra in Sudan, ma ci sarà pure qualcosa che potremo fare concretamente per sostenere chi lavora per l’accoglienza dei rifugiati oltre a commuoverci per il naufragio di Cutro… anche perché -se non possiamo davvero fare nulla- come distinguere il nostro (lodevole) commuoverci per Cutro da quello che ci provoca una fiction ben scritta?

 Il secondo rischio, celato nella incessante abbuffata conoscitiva, è quello di confondere la grande quantità delle informazioni con il comprendere in profondità il significato che hanno (o che non hanno). Rischiamo insomma di confondere la quantità con la qualità, l’informazione su “cosa accade” con l’approfondimento sul “perché accade”. Troppe informazioni spesso confondono e rendono più difficile distinguere quelle importanti da quelle che fanno solo volume. Forse sarebbe utile metterci un po’ a dieta, filtrando meglio gli argomenti che meritano e le fonti da cui attingiamo così da diminuire il volume e far crescere la qualità e la profondità.

Sapere è importante, ma capire di più.

Definire le criticità è importante, ma collaborare a superarle di più. 

Essere spettatori attenti e informati è utile, ma essere attori di più. Ed è anche più soddisfacente.