Non credo di essere l’unico a pensare che una frattura sociale così aspra e diffusa come quella alla quale stiamo assistendo non possa dipendere solo dalla diversa valutazione sull’uso del green pass, tutto sommato un dettaglio amministrativo nel ben più ampio contesto del contrasto della pandemia.

Il green pass mi sembra piuttosto essere diventato il capro espiatorio al quale si va progressivamente imputando un groviglio di disagi, molti dei quali hanno ben poco a vedere con la pandemia: nodi irrisolti -sociali ed economici- rimasti congelati per quasi due anni che ora stanno riemergendo intatti nella loro drammaticità, il mito eterno del complotto persecutorio come alibi per non fare i conti con le debolezze e i limiti del nostro sistema, l’allentamento dei rapporti interpersonali -indeboliti dall’isolamento- e la difficoltà a ripristinarli in una situazione sicuramente mutata, il rifiuto di accettare che alcuni “diritti percepiti” siano stati irreversibilmente ridisegnati dalla pandemia (ad esempio quelli relativi ai luoghi e ai tempi del lavoro) e che non sarà sufficiente riaccendere la luce per far tornare tutto com’era prima. Il green pass è solo la foglia di fico.

Le follie interpretative e le fake news che hanno scorrazzato ovunque, moltiplicandosi senza limiti sui social, hanno minato in profondità la fiducia nella scienza e nelle istituzioni democratiche (il crollo dei votanti alle amministrative ne è un preoccupante sintomo) innescando nel convincimento di molti regressioni al limite della superstizione e pericolose nostalgie totalitarie.

Se, come tutti speriamo, la pandemia si ridurrà nei prossimi mesi fino a non condizionare più le nostre attività, le nostre relazioni e la nostra economia questa storia del green pass sarà superata dagli eventi e resterà come un brutto esempio di dove può arrivare la conflittualità quando si rinuncia ad usare la testa e il buon senso. Quello che invece non sarà facile superare è la sostanza dei problemi che ci aspettano: occupazione, produttività, servizi, capacità di gestire correttamente le risorse.

Sono i problemi di sempre, questa volta aggravati dal terremoto che abbiamo attraversato e dalle macerie rimaste sul terreno e nella testa. Anche la ricetta è quella di sempre: rimboccarsi le maniche, accantonare miti e complotti, fare i conti con la realtà senza barare, ricostruire relazioni nuove, non dimenticare chi da solo non ce la fa.