Ci sono due tipi di speranza: quella vera che costa fatica (e vale molto) e quella di circostanza che non costa niente (e non vale niente).

La speranza vera è quella che non si limita ad auspicare che le cose si risolvano, ma diventa motore, motivazione, dell’agire (capire le cause, immaginare soluzioni percorribili e renderle operative) perché gli eventi abbiano un esito diverso da quello temuto; quella di circostanza, invece, è la mera affermazione di un desiderio, un auspicio sterile, una vacuità oratoria buona per tutte le stagioni.

La speranza vera -quella che costa fatica e cerca risposte- non è un sentimento, è un metodo. E’ facile riconoscerla perché non descrive la situazione che vorremmo, ma la strada per arrivarci; le sue affermazioni non terminano mai con un punto, ma con i due punti: segue l’elenco delle cose da fare. E’ un metodo da utilizzare quando abbiamo a che fare con i grandi eventi (la guerra, la pandemia, le crisi economiche) e quando abbiamo a che fare con le vicende personali, familiari o di politica territoriale (welfare, servizi, risorse).

Constato -purtroppo- che nel sociale, va aumentando la distanza tra le esigenze del territorio e le risposte che a quelle esigenze dovrebbero essere date. Spesso non manca -da parte degli amministratori pubblici- la consapevolezza di questo divario, ma manca la capacità di identificare ed elaborare risposte efficaci e concrete. Ed è proprio la concretezza il segno distintivo della speranza vera, senza aver paura di scendere nel dettaglio, perché è di dettagli che è fatta la vita reale.

Vorrei segnalare -nel territorio del comune di Roma e in particolare nell’ambito delle rette per le case famiglia- un esempio di concretezza che non ha temuto di scendere nei dettagli. Si tratta della mozione, a firma di quattro consiglieri comunali (Erica Battaglia, Nella Converti, Tiziana Biolghini e Paolo Ciani) che -constatata la evidente inadeguatezza di queste rette non aggiornate da molti anni- impegna il sindaco e la giunta:

“-ad avviare un percorso che porti all’adeguamento delle rette corrisposte per le case famiglia parametrandole ai reali costi di gestione;

-a valutare, dove possibile, un’”una tantum” per indennizzare i tantissimi anni di arretrati non corrisposti adeguatamente;

-ad inserire progressivamente in bilancio, ogni anno, le risorse necessarie all’adeguamento Istat e ai futuri aumenti contrattuali e del costo del lavoro per il corretto calcolo di tali rette.”

Ovviamente è solo un esempio (problemi analoghi si verificano nella erogazione degli “accompagni”, nel riconoscimento del lavoro dei caregiver, nell’accesso alle strutture per i malati gravi di Alzheimer, ecc…), ma credo dia un’idea del “metodo” della speranza vera che è capace di trasformarsi in proposta concreta. Speriamo che questa volta l’impegno venga tradotto in tempi rapidi in deliberazioni esecutive.

La speranza -lo abbiamo detto-  è faticosa e per questo c’è il rischio di stancarsi, di non credere più che ne valga la pena, di lasciar correre: è quello il momento di rinverdire l’intramontabile “spes contra spem”, la convinzione -cioè- che credere in un futuro migliore sia anche la condizione necessaria perché esso possa realizzarsi.