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Ciascuno di noi ha il proprio orizzonte privato, la propria casa interiore: la arrediamo -negli anni- con le conoscenze che strutturiamo e le convinzioni che progressivamente maturiamo. Viviamo praticamente sempre in questa casa, ci muoviamo nelle sue stanze, ricostruiamo i percorsi che ci hanno portato dove siamo, spolveriamo i ricordi e guardiamo fuori dalla finestra, a volte curiosi ed attenti a volte disincantati. 

Alcuni hanno una casa interiore con molte stanze e -benché l’apprezzino- cercano continuamente di ampliarla e arricchirla con altre informazioni, sono disponibili a elaborare e modificare le convinzioni maturate se nuove conoscenze e nuove prospettive lo esigono. Alcuni invece ritengono la propria casa interiore la migliore possibile, un equilibrio acquisito -o ereditato- che va difeso da indebite intrusioni e inquinamenti; le loro immutabili convinzioni sono per costoro la “misura” del mondo: ogni evento viene letto e decodificato in base a quelle convinzioni e ai linguaggi della “casa”, se non è leggibile va rigettato come falso o osteggiato come sconveniente. 

Se -ad esempio- decine di persone costrette ad un viaggio disperato naufragano e muoiono a cento metri dalla riva del nostro paese, la lettura -secondo le regole della casa- sarà «partire è un po’ morire, state a casa vostra» oppure, un po’ più elaborata ma più colpevolizzante, «anche se fossi disperato non partirei perché sono stato educato alla responsabilità, a non chiedermi sempre che cosa mi devo aspettare dal Paese in cui vivo, ma anche quello che posso dare al Paese in cui vivo…»: sono solo due perle di un consigliere regionale e di un ministro degli interni, ma ci rivelano in che tipo di casa interiore sono state pensate, e credo diano l’idea di quanto lontano dalla vita reale possa portare la costruzione di un universo privato usato come metro di giudizio per tutto e per tutti.

Non è questione di valutare una casa interiore migliore di un’altra e non è solo questione di ampiezza delle stanze e delle finestre: è una questione di metodo. Una è aperta, disposta a fare i conti con la realtà e con gli eventi, senza la presunzione di avere sempre la risposta in archivio; è la casa di chi è capace di sospendere il giudizio per fare spazio alla novità e all’imprevisto, di chi mette in conto anche di farsi cambiare da ciò che accade. L’altra è la casa rigida di chi ritiene di sapere tutto quello che c’è da sapere e non accetta nemmeno l’ipotesi che le cose, le storie e le persone possano essere diverse da come si credeva che fossero e la realtà più grande delle chiavi di lettura di cui disponiamo.

E’ importante avere cura della nostra casa interiore: è lì che prendiamo le nostre decisioni e scegliamo come reagire e comportarci. Mettiamo in conto che avremo sempre a che fare con eventi che ci stupiranno e potranno sconvolgerla, mettiamo in conto che dovremo confrontarci con chi ha case interiori diverse dalla nostra, altri arredi e altre convinzioni, con chi fa scelte che non arriveremo a capire ma che dovremo rispettare: l’importante è tenerla in ordine -la nostra casa- con le finestre aperte e lo sguardo attento. Scriveva lo scrittore Henry Miller “una meta non è mai un luogo, ma piuttosto un nuovo modo di vedere le cose”.

A condizione di essere disposti a farlo.