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Da circa un anno è cambiata la sigla che introduce i notiziari di RaiNews24 e trovo questa nuova sigla decisamente innovativa. Infatti mentre quasi tutte le sigle dei TG -a partire da quella storica del telegiornale in bianco e nero sull’unico canale- proponevano mappamondi, carte geografiche, foto/video in rapida sequenza di momenti storici, volti di leader politici e religiosi… insomma immagini che alludessero ad una informazione globale e aggiornata, questa nuova sigla propone una elegante e dinamica presentazione della redazione e degli studi televisivi da cui il notiziario viene trasmesso. Nulla  da dire sulla scelta estetica (peraltro gli studi -disegnati da Renzo Piano- sono molto belli); mi preoccupa invece [e, ovviamente, non solo in relazione a questo particolare TG] la “prospettiva” che questa scelta mi sembra inconsapevolmente rivelare, e cioè che il vero focus dell’informazione non sia più “fuori” (i luoghi, i fatti, i protagonisti), ma “dentro” la redazione; come se la chiave interpretativa e la narrazione che ne consegue siano ormai diventate più importanti dei fatti stessi e delle azioni dei loro protagonisti.

Tutti sappiamo che non esiste un modo neutro di raccontare le cose, chi racconta decide come farlo: cosa dire e cosa omettere, il linguaggio e il tono, i tempi e le sottolineature, i dettagli e il contesto. 

E’ così da sempre e -almeno in una certa misura- è inevitabile, tuttavia ho l’impressione che negli ultimi mesi nella televisione pubblica sia in corso una forte accentuazione della -chiamiamola così- “prospettiva redazionale”, senza più preoccuparsi che possa apparire troppo parziale, facendone anzi un tratto identitario, come se la ricerca di un corretto equilibrio tra diverse possibili narrazioni non fosse parte dell’etica di quanti fanno professionalmente informazione, ma fosse affidata alla replica di un eventuale controcanto.

Non c’è dubbio che i media siano il più efficace strumento di fabbrica del consenso. Spesso usiamo l’espressione “Quarto potere” per indicare il condizionamento che i mezzi di comunicazione sociale possono esercitare, ma -come ha ben precisato il sociologo Manuel Castells- i media più che un ulteriore potere, sono “il terreno della lotta per il potere“. Se questo terreno diventa difficilmente contendibile si rischia una informazione a senso unico alla quale siamo tanto più esposti quanto più deboli sono le nostre difese “immunitarie”: la differenziazione delle fonti, la capacità critica di analisi e confronto, il discernimento che consente di separare i fatti dalla loro interpretazione. Vale inoltre la pena di notare che ciascuno di noi è convinto (in cuor suo) di essere dotato di efficaci misure immunitarie, sia chi ce l’ha davvero sia chi non ce l’ha, anzi di solito chi ne ha, teme di non averne abbastanza; mentre chi non ne ha, è strasicuro del fatto suo.

Il potere di chi la racconta, cioè di chi propone la sua versione dei fatti, dipende dalla potenza del suo megafono più che dalla coerenza del suo racconto; il potere di chi la ascolta dipende invece dalla sua capacità di identificare le eventuali incoerenze e parzialità, ricostruendo una narrazione alternativa che non sia dettata dal pregiudizio, ma fondata su dati oggettivi. 

Non sempre possiamo competere con i megafoni altrui, ma non è una buona idea rinunciare al potere di ragionare, verificare e poi raccontarci la nostra versione.