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Chi non preferirebbe energia “pulita” generata in verdi vallate punteggiate da candide turbine eoliche invece di quella “sporca” prodotta da grigie centrali termoelettriche o -peggio ancora- da nere centrali a carbone? Chi non preferirebbe una economia circolare che ricicli tutti gli scarti riducendo i rifiuti al minimo, invece di installare contestatissimi termovalorizzatori nelle grandi città?

Prospettare uno scenario idilliaco e metterlo retoricamente a confronto con quello meno raccomandabile non è un esercizio difficile, ma è inutile e fuorviante: si crea un immaginario pericoloso che ci disabitua alla complessità; ci disabitua a guardare tutta la lunga catena che lega la materia energetica allo strumento che la “cattura” e quello strumento a noi. E’ molto più difficile (ma più utile) identificare le soluzioni migliori e perseguirle con tenacia e pazienza, restando però con i piedi per terra, facendo cioè i conti con la loro complessità, i loro tempi e i loro costi. “Sostenibile” significa esattamente questo: capire cosa si può realisticamente fare, in quali tempi e con quali costi. 

E’ importante porsi obiettivi realistici -non ideologici o estetici- per generare una transizione credibile. In un interessante articolo apparso su Il Foglio lo scorso settembre, Antonio Pascale riporta un esempio che dà conto della complessità del problema. A tutti noi sembra meraviglioso sganciarci da carbone, petrolio e gas ricavando elettricità dal vento, che è pulito, gratuito e non lascia residui. Eppure  -sembra un controsenso!- ancora oggi per ricavare elettricità dal vento servono combustibili fossili. Le turbine stesse sono l’emblema dei combustibili fossili: grandi camion portano l’acciaio e altre materie prime sul sito di costruzione, macchine in movimento a terra tracciano i sentieri, spesso in posti impervi per poi posizionare le pale e Vaclav Smil, uno dei più attenti ambientalisti, ha calcolato che “per una turbina da 5 megawatt, servono in media 150 tonnellate di acciaio, solamente per le fondamenta in calcestruzzo. La produzione di acciaio è uno dei pilastri che fonda il mondo moderno, gli altri sono l’ammoniaca, la plastica e il cemento e tutti e quattro si fondano ancora per l’85 per cento su combustibili fossili”. Insomma, fatti i conti, per costruire il numero di turbine eoliche utile a soddisfare la domanda di energia da qui al 2030 – secondo i calcoli di Smil- c’è bisogno di 600 milioni di tonnellate di carbone! Siamo molto lontani dal bucolico mondo di Heidi e dagli spot pubblicitari lindi e pinti.

Tutto questo non rimuove affatto l’importanza della transizione ecologica, ma -proprio per consentirla- ci apre gli occhi sulla sua complessità, diffidando delle semplificazioni comunicative e delle letture ideologiche. “Abbandonare il fossile -conclude realisticamente A.Pascale- sarà una sfida bella e necessaria, fondamentale e probabilmente entusiasmante, ma lunga e costosa. Ci vogliono coraggio, tempo e pazienza: qualità indispensabili e lussuose.” 

Coraggio, tempo e pazienza; le stesse che servono per qualunque cambiamento che non sia solo di facciata.