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Ci sono stagioni politiche nelle quali -soprattutto con l’approssimarsi delle scadenze elettorali- si percepisce con forza la voglia di partecipare, di discutere su contenuti e programmi, di sostenere con convinzione la propria parte e i propri candidati: ecco, questa non è una di quelle stagioni. Al contrario, malgrado manchino solo cinque settimane alle elezioni regionali, mi sembra si respiri un clima di stanchezza e rassegnazione. 

Non è solo la convinzione che i giochi siano ormai fatti, è qualcosa di più profondo che va oltre il vincere o il perdere la singola partita, come se a difettare fosse la voglia stessa di giocare. E’ un brutto sintomo: non onde contrapposte che si contendono la possibilità di incidere sui prossimi cinque anni, ma una bassa marea poco accattivante: pozze d’acqua ferma, posizioni frammentate e arroccate, puntigli presentati come audaci strategie… insomma il contrario del confronto in mare aperto, delle rotte da disegnare, dei programmi da realizzare.

Più la visione e la partecipazione si riducono, più prevalgono le questioni di piccolo cabotaggio: l’interesse immediato legato alle singole persone o alle correnti prende il posto di quello strategico e collettivo. E’ una china da evitare se non vogliamo sprecare il lavoro fatto e molti obiettivi raggiunti negli ultimi anni; è una china che mi ricorda l’ironia di Giorgio Gaber: «Sul vocabolario c’è scritto che democrazia, è parola che deriva dal greco, e significa “potere al popolo”. L’espressione è poetica e suggestiva. Ma in che senso potere al popolo? Come si fa? Questo sul vocabolario non c’è scritto. Però si sa che dal 1945, dopo il famoso ventennio, il popolo italiano ha acquistato finalmente il diritto al voto. E’ nata così la famosa democrazia rappresentativa, che dopo alcune geniali modifiche, fa si che tu deleghi un partito, che sceglie una coalizione, che sceglie un candidato, che tu non sai chi è, e che tu deleghi a rappresentarti per cinque anni. E che se lo incontri, ti dice giustamente: “Lei non sa chi sono io”» [G. Gaber, “Democrazia” in “Un’idiozia conquistata a fatica”, 1998]. 

La bassa marea è un lusso che non possiamo permetterci, un cattivo esempio che spegne invece di accendere, esaspera le divisioni e spinge le nuove generazioni a ripiegarsi nella sola dimensione privata della vita senza alcun interesse per i processi sociali e per la politica come spazio creativo. In questo senso la disaffezione verso la politica partecipata rivela una disaffezione verso il futuro e lascia campo libero a chi la interpreta solo come uno strumento per la gestione del potere e per il proprio interesse personale.

C’è molto da lavorare per una nuova stagione che recuperi il primato dei contenuti sulle tattiche, degli obiettivi sulle rendite di posizione, dell’efficacia sul puntiglio. Dobbiamo far sì che impegnarsi in un progetto politico ridiventi una prospettiva interessante ed entusiasmante, un mare vivo in cui si debba scegliere quale onda sia giusto cavalcare e non in quale baia convenga gettare la canna da pesca.