– Ci aspetta un autunno caldo: rincari, tagli ai servizi… la crisi si fa sentire e non accenna a passare.
– Un “autunno caldo”… sai che novità! saranno almeno cinquanta estati che ci aspetta un autunno caldo!

– Ma che c’entra… questo è l’autunno della crisi, non è come tutti gli altri autunni, qui non si tratta di rinnovare il contratto dei metalmeccanici, questa è una crisi mondiale, generazionale, culturale, sociale…
– Facciamo anche genetica, epocale, geologica… così magari vendiamo qualche altra copia… mi sembra come la differenza tra la temperatura reale e quella “percepita”, la differenza non la fa l’umidità, la fanno i telegiornali. A forza di dire che questa è l’estate più calda da cent’anni (ovviamente come quella dello scorso anno e quella dell’anno prossimo) le persone si sentono autorizzate a stramazzare a terra o a farsi mancare il respiro. Così è la crisi…
– Vorresti dire che la crisi non c’è? Che è tutta un’invenzione?
– No, vorrei dire che stiamo solo attraversando una fase economicamente negativa in cui -come non era difficile prevedere- paghiamo il conto per aver vissuto molti anni sulle spalle del futuro. Quando i governi continuavano ad indebitarsi e con quel denaro facevano assunzioni elettorali nella pubblica amministrazione o appaltavano lavori pubblici alle imprese mazzettare, nessuno si lamentava dei posti di lavoro che venivano “creati”… quando il mercato finanziario, drogato dai “derivati dei derivati” che esistevano solo sulla carta, pagava interessi a due cifre a chi comprava fondi di investimento nessuno si lamentava… adesso che il giocattolo si è rotto e ci sono i conti da pagare, parliamo della crisi come se fosse una misteriosa malattia tropicale…
– Ma io che c’entro? Non sono mica stato io a indebitarmi, non sono mica stato io a lucrare sui fondi di investimento! Io ho solo lavorato, pagato il mutuo e fatto studiare i miei figli perché potessero lavorare anche loro…
– Non c’entri niente sul piano delle responsabilità, ma c’entri e come su quello delle conseguenze! La storia e l’economia non funzionano come gli incidenti stradali, quasi sempre chi paga non c’entra niente con chi è responsabile degli eventi… Che c’entravano i soldati di Caporetto con le mire espansionistiche dell’impero austroungarico? eppure hanno pagato loro… Che c’entravano i ragazzi dell’Alabama con la guerra in Vietnam? Che c’entrano i bambini senegalesi con il prezzo delle arachidi sul mercato di Chicago? E i pescatori greci con il rendimento dei titoli tedeschi? eppure pagano…
– E allora? Cosa dovremmo fare? Accettare fatalisticamente quello che succede e pagarne in silenzio le conseguenze? 
– Si e no. Si nel senso che quello che è già successo ha conseguenze che non scompariranno comunque né analizzando le responsabilità, né disperandosi, né ripetendo che “è inammissibile”… . No nel senso che non c’è nulla di fatalistico, nessuna tendenza che non possa essere invertita, nessun errore che debba essere per forza replicato. Certo, bisogna tirare la cinghia, smetterla di pensare che vivere al livello economico degli ultimi trent’anni sia un diritto inalienabile, stare molto attenti a scegliere chi andrà in parlamento e chi ci governerà, non credere più alle scorciatoie e alle magìe di venditori di sogni (che siano milioni di posti di lavoro o improbabili servizi per tutti a costo zero).
– Ma proprio adesso doveva capitare?
– Gli eventi di cui possiamo scegliere il come e il quando sono davvero pochi. Le variabili sono talmente tante che solo un cretino può pensare di controllarle tutte. E poi -smettendo per un attimo di guardare solo il nostro ombelico- le crisi economiche ci sono sempre state; se per molti anni ci è sembrato che così non fosse è perché le pagavano altri popoli e altre economie: un’illusione ottica figlia di rapporti di forza che poco hanno a che fare con l’equa distribuzione delle risorse, del lavoro e dei guadagni. Ora tocca a noi e ci manca la terra sotto i piedi… ma cerchiamo comunque di non esagerare! Evitiamo l’effetto “temperatura percepita”! Non è che mentre c’è la crisi non si vive, non è che la perdita di alcune certezze sia necessariamente una tragedia, non è che se la vita non è esattamente come ce l’eravamo immaginata abbiamo diritto a un risarcimento. 
La nostra capacità di affrontare la vita non è direttamente proporzionale alla capacità di lamentarci, ma a quella di fare le scelte che -adesso, in questa situazione- sono più ragionevoli e strategiche, a quella di stringere i denti e fare a meno di alcune cose preferendo investire sul futuro che recriminare sul passato. Niente è mai tutto bianco o tutto nero: tra l’epico condottiero che le cose le pretende tutte e subito e il servo della gleba che zappa senza chiedersi mai niente c’è un’ampia gamma di normalità estremamente più efficaci, a condizione che teniamo il cervello acceso e i piedi per terra.