Più leggo i discorsi e le dichiarazioni dei politici, più mi torna in mente l’affermazione di Rudyard Kipling «Tra la lucidità e la follia c’è solo una sottile linea rossa», da cui il titolo del grande film di Terrence Malick, Orso d’oro al festival di Berlino del 1998.

Mi riferisco a quella sottile linea che distingue le affermazioni banali da quelle che hanno un significato, il politichese vuoto dalle proposte sul merito, i valori generici dalla loro declinazione sul piano di realtà.

Mi piacerebbe riuscire a tenere d’occhio questa linea rossa per restare possibilmente dalla stessa parte (quella sensata),  ma non è impresa facile perché essa è diventata davvero sottile, e sembra che i politici non abbiano alcun interesse a renderla visibile.

E’ diventata sottile perché la complessità delle questioni rende sempre più urgente la necessità di semplificare e “parlar chiaro” (per poterci capire qualcosa, farsi un opinione e decidere fra opzioni comprensibili e sensate, o  anche semplicemente per comunicare la propria posizione), ma il limite di questa semplificazione è proprio la banalità e non è facile trovare l’equilibrio giusto tra il “complicato” e lo “stupido”. Probabilmente affermare che “la riduzione del cuneo fiscale può favorire la crescita del prodotto interno lordo e dell’occupazione” è ancora troppo complicato per farsi capire da chi non si occupa di economia e fiscalità, ma se –per semplificare ulteriormente- si dice “basta con le tasse, creiamo posti di lavoro!” in realtà non si sta dicendo niente di significativo nel merito del problema, ma solo esprimendo un desiderio sicuramente condivisibile ma generico. Quanto è larga “la linea rossa” tra le due affermazioni? Chi è capace di formulare meglio il pensiero perché sia più comprensibile ma senza perdere il suo significato? E, soprattutto, ai politici interessa davvero salvare il senso di quanto affermano (non sempre compatibile con il con-senso a basso prezzo)?  Lo sappiamo tutti che paga più un “Meno tasse per tutti!” che un piano serio di riduzione del debito pubblico, ma è proprio per questo che oggi stiamo come stiamo.

Se il linguaggio non “significa” più quello che dice non serve più a niente.

Non ha tutti i torti Grillo quando afferma nel suo blog che il linguaggio politico è oggi diventato “una ‘Lourdes linguistica’ che edulcora e trasforma le parole, sostituisce la realtà, si pone come sudario sul corpo vivo della società” o quando cita George Orwell (da “Politics and the English Language”):“Se semplifichi il tuo linguaggio, ti liberi dalle peggiori follie dell’ortodossia. Non potendo più parlare nessuno dei gerghi prescritti, se dici una stupidaggine la tua stupidità sarà evidente anche a te. Il linguaggio politico e’ inteso a far sembrare veritiere le menzogne e rispettabile ogni nefandezza, e a dare una parvenza di verità all’aria fritta”, ma la soluzione non è certo nell’illusione che basti gridare “pane al pane” e “vino al vino” per recuperare una verginità impossibile, la soluzione è tenere d’occhio la linea rossa (per sottile che sia) e fare ogni volta lo sforzo di avvicinarsi il più possibile al confine della semplificazione comprensibile senza cadere nella stupidità e senza farlo apposta per vendere area fritta a buon mercato.