Che c’è di più sano che evidenziare un bisogno, rivendicare un diritto, chiedere quello che si ritiene giusto e denunciare quello che si ritiene sbagliato?

Sarebbe mai migliorata la società se i diritti non fossero stati rivendicati e le ingiustizie denunciate? Certamente no.

E allora forza! Rivendichiamo il più possibile, denunciamo tutto quello che non condividiamo, esigiamo tutto quello che riteniamo giusto… se ci convinciamo che la misura di ciò che otterremo dipende unicamente da quello che chiediamo perché non chiedere la luna?

La realtà (e lo sappiamo tutti benissimo da quando abbiamo smesso di scrivere a Babbo Natale) è un po’ diversa. La misura di ciò che otteniamo non dipende solo da ciò che vogliamo e da quanto gridiamo per averlo, ma anche dai rapporti di forza, dalla oggettiva ragionevolezza di cosa chiediamo, dalle risorse esistenti e dalla mediazione possibile tra i diversi interessi e i diversi punti di vista. E’ così per il trenino chiesto a Babbo Natale, è così per gli ammortizzatori sociali, è così per la guerra in Afghanistan, è così per tutto.

Questo non significa che non dobbiamo chiedere, rivendicare e denunciare, ma che possiamo farlo in due modi: da bambini e da adulti. Lo facciamo da bambini quando gridiamo ciò che vogliamo in attesa che chi ci ascolta si faccia carico di riconoscere il nostro diritto e ce lo dia; lo facciamo da adulti quando –oltre a gridare ciò che vogliamo e riteniamo giusto- ci facciamo carico di costruire proposte percorribili, ci diamo un criterio, ci diamo priorità, accettiamo la gradualità delle soluzioni, ci chiediamo quali alternative sono preferibili. Insomma quando non ci limitiamo a dire infantilmente “no”, ma opponiamo proposta a proposta.

Diversamente non solo si ottiene poco, ma c’è il rischio di infilarsi in uno sterile gioco delle parti in cui -allontanandosi dal contenuto- alla fine conta solo la forza.

In questi giorni ho scambiato alcune mail con un amico sul tormentone delle “caste” e sulla grave responsabilità dei media nel fare di ogni erba un fascio. Alla domanda se criticare indiscriminatamente le caste potesse -alla lunga- costituire un pericolo per la democrazia questa è stata la sua risposta: “No e si. E te la spiego subito: no, perché il diritto di pensiero e il diritto di critica (nel rigoroso ordine cui sono enunciati) sono il sale benefico di una democrazia; sì, perché è pericoloso alimentare l’opinione pubblica col convincimento che la classe dirigente di un paese (cioè, per dirla con la corrente casta-mania, la sommatoria delle caste che dirigono un paese) sia composta solo da avidi profittatori, additati come tali sulla base delle retribuzioni, verosimilmente determinate in maniera legalmente corretta. Non è così e non è giusto (è anzi pericoloso) che si pensi così.  Per capire meglio perché è pericoloso che si pensi così, proviamo a domandarci questo: e se il voyerismo economico (figlio pettegolo della trasparenza) non fosse altro che una ben orchestrata operazione di marketing sociale? In che senso? Mi spiego con un esempio brutale e paradossale: supponiamo che in un paese di 1000 abitanti si vendano solo 100 giornali; sarebbe legittimo pensare che questi 100 giornali vadano in mano delle classi culturalmente più evolute, forse della classe dirigente di quel paese. Bene, ora supponiamo che il direttore del giornale voglia incrementare la vendita di copie: secondo voi, mirerebbe a sostenere le tesi dei suoi effettivi 100 lettori o a ricercare quelle che più suggestionerebbero i 900 (non ancora) lettori? E se il marketing sociale fosse il prodromo di un ben più pericoloso marketing politico di stampo populista e qualunquista? Ci facciamo veramente male da soli distruggendo la percezione che l’opinione pubblica può avere di una classe dirigente, senza averne una di ricambio. E francamente non ne vedo una di ricambio pronta.

Non so se sia davvero in corso una “ben orchestrata operazione di marketing sociale” ma sono sicuro che screditare per screditare è uno sport stupido, sia nel senso che non richiede particolari abilità, sia nel senso che non produce alcun risultato.

Ovviamente tutto e tutti sono criticabili (soprattutto quando questo fa audience!) e a volte mi chiedo se esista un profilo ideale inattaccabile. Non credo: a san Francesco imputerebbero di certo l’inaffidabilità di chi è lontano dalla”gente”, a Napoleone un’eccessiva personalizzazione ed anche su quella ragazza palestinese che ebbe un figlio non si sa bene da chi (poi condannato a morte) ci sarebbe sicuramente molto da dire…

Mi fanno paura il graduale (e accelerato) allontanamento dai contenuti, la fuga dalla ricerca di un criterio, la critica fine a se stessa.

Visto che in politica il bene assoluto non esiste, ogni volta che si esprime una valutazione bisognerebbe chiedersi “rispetto a che?”, “rispetto a chi?”, e darsi un realistico metro di giudizio. Non sono follemente innamorato dell’attuale governo, ma pragmaticamente mi chiedo: avrei davvero preferito che la riforma del lavoro la facesse Sacconi e che le relazioni internazionali fossero guidate da Frattini?

Nulla è assoluto, dipende tutto dal criterio che si sceglie: anch’io, in alcune circostanze, riterrei certamente la Carfagna da preferire alla Cancellieri.