Il bello dei film di indiani e cowboys era la chiarezza.

Hanno emozionato la nostra infanzia e contribuito a definire il nostro modo di giudicare: tutti i buoni da una parte e tutti i cattivi dall’altra. Idee chiare, complicazioni zero.

Neanche la trama era importante, che fosse un furto di cavalli, l’accesso alla sorgente o il passaggio verso ovest, l’importante era che i buoni vincessero (e succedeva sempre).

Non c’era molto da capire, bastava schierarsi perché la storia diventasse chiara e avesse un senso. Sono convinto ancora oggi che la storia -quella di ogni giorno- acquista un senso solo se ci si schiera, ma non è vero (purtroppo) che basta schierarsi perché essa diventi chiara. Penso anzi che sia esattamente il contrario, solo quando la storia ci è chiara, quando abbiamo capito i termini della questione, possiamo consapevolmente schierarci e “darle un senso”.

Ma non siamo nei film di indiani e cowboys e non è (quasi) mai vero che i buoni e il bene stanno tutti da una parte e i cattivi e il male dall’altra. Non abbiamo nemmeno gli aiutini della sceneggiatura, tipo i buoni belli e i cattivi brutti o musica cupa quando parlano i cattivi e piacevole e distesa quando parlano i buoni… oggi la sceneggiatura è taroccata e fuorviante: lo hanno capito tutti che la confezione è più importante del contenuto e tutti si danno da fare per confonderci le idee. Come fare allora per capire quali sono i buoni e quali sono i cattivi?

Mi sembra prevalgano due posture diametralmente opposte: quella di chi cerca disperatamente di capire, approfondire, entrare nel merito per poter decidere di volta in volta da che parte stare e quella di chi non riesce a dimenticare i film degli indiani e si schiera subito, prima ancora di capire, anzi spesso “invece” di capire.

Il guaio è che le questioni su cui schierarsi sono tutte maledettamente complesse, forse quelle semplici sono finite o forse ci sembrano semplici quelle del passato perché con la distanza non si apprezzano i dettagli. Non sempre la complessità è rapidamente riducibile a un si o no (forse è anche per questo che non mi sono particolarmente simpatici i referendum), il fascino cristallino del bianco/nero deve fare i conti con i grigi, la certezza delle convinzioni con i “dipende”, la fretta di risolvere con la gradualità delle soluzioni.

Se è vero che la complessità può diventare una trappola che, a forza di distinguo, ci impedisce di decidere, è vero anche che chi ha già deciso prima ancora di capire vedrà solo le ragioni di una parte e non aiuterà affatto a fare chiarezza. 

Insomma la testa prima della pancia o basta la pancia? L’analisi ragionata degli scenari o la carica di Fort Apache?

Neanche questa scelta, in fondo, è così radicale: si può ragionare e cercare di capire senza trasformare l’analisi in alibi per evitare di schierarsi e ci si può schierare con passione senza pretendere di avere sempre ragione perché la bandiera si ama e basta.

Tra “Ombre Rosse” e “Quark” le mediazioni sono possibili. (E perché no –ad esempio- tra Ichino e la Camusso?)