Qualche tempo fa è uscito sul “Foglio” un bell’articolo intitolato “Avviso ai quarantenni” (LINK).

Un appello alle nuove e semi-nuove generazioni, perché “si facciano venire quello che gli anglosassoni chiamano fire in the belly, il fuoco nella pancia”.  Come a dire, ai troppi eternamente giovani e sfiduciati: datevi da fare.

Se il Paese appare bloccato nell’accesso ad alcune (ultimamente un po’ tantine) posizioni, è pure vero che il concetto di sacrificio oggi non sembra più godere di grande popolarità. Non nella vita famigliare, figuriamoci nel mondo del lavoro.

E così si pretende spesso di saltare la gavetta, con la convinzione che l’umanità non aspetti altro che noi e il nostro brillante genio.

Colpa delle famiglie, certo, (LINK) e di un sistema formativo che per troppo tempo ci ha imbambolati a costruire il futuro solo sulla carta dei libri.

E allora il ministro dell’Istruzione, Maria Chiara Carrozza, nel suo intervento di ieri al Forum Ambrosetti, ha centrato bene il punto, quando ha affermato «Non voglio più che gli studenti italiani arrivino a 25 anni senza aver mai lavorato un solo giorno nella loro vita» (LINK).

Non parlava certo di posizioni di ingresso ai vertici di qualche importante società editrice o a capo di prestigiose quanto inutili fondazioni, o imprese piene di glamour. Questo succede, è vero, ma solo a certi predestinati giovani nababbi.

No, il ministro parlava di lavori iniziali, da svolgere già durante il percorso di studio, come “cameriere, assistente in libreria, barista”. Perché “per imparare a essere classe dirigente bisogna misurarsi con tutti i mestieri”.

Per non finire come il buffissimo  e patetico figlio di Eduardo in “Natale in casa Cupiello”, che per strappare le cinque lire all’anziano papà doveva manifestare un inesistente apprezzamento verso l’odiato rito del presepe casalingo.

Insomma, se non è proprio il citatissimo “stay hungry stay foolish” del celebre discorso di Steve Jobs a Stanford è qualcosa che gli si avvicina abbastanza.

L’invito è  a non farsi abbattere dalle troppe – non sempre disinteressate – cassandre portatrici di sventure e ad accettare la propria parte di fatica, davvero necessaria per costruire il proprio avvenire.

Senza perdere il giusto disincanto, ma con lo slancio adeguato e la indispensabile consapevolezza del mondo in cui ci troviamo a vivere.