Negli ultimi decenni, lo sviluppo tecnologico e scientifico, insieme alla nascita di nuove discipline, ha portato a
cambiare radicalmente il paradigma riguardante la concezione di disabilità, affiancandola anche a termini come
diversità e inclusione, che hanno cambiato a loro volta il modo di “fare scuola”.
Lo sviluppo delle conoscenze nel campo delle neuroscienze, per esempio, ha portato a un progressivo sviluppo
degli strumenti, sia sotto il profilo tecnologico, che diagnostico e sociale, utili per orientare e favorire la didattica:
una particolare attenzione è stata data al trattamento di disturbi direttamente collegati a difficoltà
nell’apprendimento, quali per esempio i Disturbi Specifici di Apprendimento (DSA) o i Disturbi di Attenzione e
Iperattività (ADHD).

 
Bisogna prima di tutto però fare chiarezza su alcuni termini, sia all’interno dell’intervento educativo
per gli studenti con disabilità, che per quelli con Bisogni Educativi Speciali, sia a livello normativo,
ossia rispetto alle procedure da mettere in atto in ambito scolastico e alle persone, e professionalità,
da coinvolgere in questo processo.

 
Con il termine Bisogni Educativi Speciali (BES) si fa riferimento a studenti che hanno necessità di particolari
attenzioni per affrontare il percorso scolastico e formativo.
In Italia l’espressione BES nasce formalmente nel 2012, in seguito all’emanazione della relativa Circolare
Ministeriale. La condizione di alunno con BES può essere continuativa o transitoria e può ostacolare
l’apprendimento dell’alunno, se non si adottano adeguati accorgimenti da parte dell’ambiente scolastico. Ciò
implica il presupposto che ogni alunno sia un attivo protagonista del proprio processo di apprendimento e che la
scuola deve tener conto delle sue caratteristiche individuali per impostare una didattica adeguata
alle sue capacità.

 
Per questo motivo i BES si dividono in tre categorie, che rispecchiano la moltiplicità di condizioni che possono
rappresentare uno svantaggio, o meglio, un bisogno educativo speciale:
– Disabilità,
– Disturbi Specifici di Apprendimento e/o Disturbi Evolutivi Specifici,
– Svantaggio socioeconomico, linguistico o culturale.

 
La condizione di disabilità può essere di vario tipo: motoria, sensoriale e cognitiva (come l’Autismo, il
Funzionamento intellettivo Limite e tutte quelle condizioni patologiche che esordiscono nell’età evolutiva e
che vengono diagnosticate dal Servizio Sanitario Nazionale o da specialisti privati), e fa riferimento alla legge
104/92. A livello didattico, questa condizione prevede la presenza dell’insegnante di sostegno all’interno della
classe e la formulazione per l’alunno di un Piano Educativo Individualizzato (PEI).

 
Gli obiettivi prefissati nel PEI possono uniformarsi e corrispondere globalmente agli obiettivi didattici e formativi,
propri del corso di studi previsto dai programmi ministeriali, e quindi il ragazzo/a sarà valutato alla stregua degli
altri compagni, oppure dovrà diversificarsi da questi, secondo i livelli di apprendimento e di maturazione
raggiungibili dall’alunno con BES.

 
I Disturbi Specifici dell’Apprendimento sono: dislessia, discalculia, disortografia e disgrafia. Difficoltà
biologicamente determinate, che provocano deficit in varie abilità legate all’apprendimento. Un Disturbo
Evolutivo Specifico, particolarmente diffuso, invece, è l’ADHD (Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività),
che limita il rendimento scolastico, anche se non interessa il QI. Anche queste, sono difficoltà certificate dal
Sistema Sanitario Nazionale e la scuola che riceve la diagnosi è tenuta a redigere per ogni studente un Piano
Didattico Personalizzato (PDP) e non è prevista la figura dell’insegnante di sostegno.

 
Infine abbiamo le condizioni di svantaggio socioeconomico, linguistico e culturali, come la mancata
conoscenza della lingua e della cultura italiana, alcune difficoltà di tipo comportamentale e relazionale,
problematiche personali o familiari tali da compromettere il normale percorso scolastico, ma che non implicano
una diagnosi o in cui è presente un disturbo o una condizione patologica che non è ancora stata diagnosticata.
Rientrano in questa categoria anche i bambini “plusdotati” o con alto potenziale cognitivo, che senza un
programma personalizzato rischiano situazioni di disagio, l’emarginazione e l’abbandono scolastico. Le difficoltà
di questa categoria di alunni BES, possono essere segnalate dalla scuola o dai Servizi Sociali, si può
redigere anche per loro un Piano Didattico Personalizzato (PDP).

 
Il PDP, introdotto con la legge 170/2010, per i Disturbi Specifici di Apprendimento, consente a tutti gli
alunni di raggiungere il successo formativo attraverso misure compensative (sintesi vocale, registratore,
programmi di videoscrittura, calcolatrice, tabelle, formulari, mappe concettuali, etc.) e misure dispensative
(lettura ad alta voce, riduzione dei compiti, tempi maggiorati per svolgere le verifiche, scrittura veloce sotto
dettatura, appunti, studio mnemonico di tabelline, etc.).
Garantire pari opportunità e lo sviluppo massimo delle potenzialità individuali di tutti, nel rispetto delle differenze,
può portare, da un punto di vista pedagogico, a un “dilemma” che si crea quando da un lato si promuove
l’inclusione, mentre dall’altro si creano categorie di allievi vulnerabili da sostenere. B. Norwich, professore di
Psicologia dell’Educazione presso l’Università di Exeter in Inghilterra, affronta la questione del
riconoscere o del non riconoscere la differenza, sottolineando che nel primo caso ci possono essere
implicazioni negative associate allo stigma, alla svalutazione e al rifiuto, mentre nel secondo si nega alle persone
l’occasione di emergere e di cogliere opportunità rilevanti.
Questo dilemma, come lo chiama Norwich, è oggi facilmente superabile grazie al concetto
d’inclusione. In passato questa parola, che esprime in sé un’accettazione di tutti i tipi di diversità, veniva spesso
utilizzata per favorire l’inserimento degli alunni con disabilità all’interno della scuola pubblica, avvenuto in Italia
verso la fine degli anni 80.
Logicamente però, l’utilizzo di questo termine non significa solamente l’inserimento nelle classi comuni di questo
tipo di alunni, ma si pone anche l’obiettivo di concretizzare il principio di un ambiente meno restrittivo possibile,
abbracciando i bisogni di tutti e valorizzandone le capacità individuali, anche delle persone con disabilità.
Facendo così, piuttosto che di un reale cambiamento del sistema scolastico, si sposta ora l’attenzione
dall’educazione “speciale” in senso stretto, alla diversità intesa come valore in sé e al suo riconoscimento in una
scuola che sia veramente una “scuola per tutti”.

 
Bibliografia
https://www.uppa.it/bes-bisogni-educativi-speciali/;
https://disturbispecificidiapprendimento.it/dsa-bes-e-adhd/
B.Norwich, Dilemmas of difference, inclusion and disability: international perspectives on placement, in “European
Journal of Special Needs Education”, vol. 23, 4, Tylor & Francis online, 2008, p. 1.
M. Pasquali, L’intervento educativo nell’ipovisione. Strategie e strumenti del professionista tiflologo. (Tesi di laurea
in pedagogia, scienze dell’educazione e della formazione) università Sapienza Roma. Promosaik. 2018.