Vent’anni dopo la grande carestia che uccise un milione di persone l’Etiopia rischia nuovamente una catastrofe di dimensioni bibliche.
“Invochiamo Allah affinché mostri la sua misericordia”, ha scritto in un appello ai circa trenta milioni di musulmani del paese il Consiglio Supremo degli Affari Islamici, esortando alla preghiera ed al digiuno per far sì che arrivi la grazia delle prime piogge dall’inizio del secolo o quasi. Salvo alcune regioni dell’Ogaden, dove invece le alluvioni hanno mietuto centinaia di vittime ancora lo scorso mese, le ultime nuvole si sono scaricate sull’Etiopia due anni fa, e da allora l’agricoltura ha tirato avanti con quel po’ di riserve idriche esistenti e molti aiuti della comunità internazionale. Non sufficienti, comunque, se con non pochi accenti polemici verso un mondo occidentale che negli ultimi anni si è concentrato sulle guerre in Afghanistan ed in Iraq, gli operatori umanitari parlano di una “emergenza silenziosa” verso la quale sta nuovamente scivolando uno dei paesi più poveri del mondo, dove è a rischio la vita di un quinto dell’intera popolazione. Più di dodici milioni di persone hanno assoluto bisogno di un aiuto alimentare immediato, più di una serie di programmi di sostegno che, avverte il World Food Program, dovranno portare nel Corno d’Africa 945 mila tonnellate cubiche di derrate da qui a dicembre. E’ la condizione irrinunciabile per impedire che esploda il dramma dell’inverno 1983-84, e si replichi quella che venne vissuta come una vergogna per il mondo.
Oggi, accusa Mary McClymont, dirigente di Interaction (la principale struttura che raccoglie le organizzazioni non governative americane), “anche se siamo distratti dalle crisi irachena ed afghana, non è più possibile girarci dall’altra parte di fronte alla disperazione di migliaia di etiopi minacciati dalla carestia. Finché siamo in tempo dobbiamo impedire che questa crisi silenziosa si consumi nell’indifferenza”. Ad Addis Abeba è tornato anche Bob Geldof, che vent’anno fa organizzò uno dei concerti rock più imponenti nella storia della musica per reperire i fondi da destinare alle vittime della fame ed oggi lamenta l’assenza di Hollywood e dello star system.
D’accordo sulla necessità di far presto sembra essere anche Ellen Yount, portavoce di Usaid, che ammette: “nel 1984 non ci accorgemmo del problema prima che fosse troppo tardi. Questa volta ci stiamo muovendo in tempo”. I dati che riferisce la Yount parlano di un programma di aiuti varato nell’agosto dello scorso anno per l’erogazione di 700 mila tonnellate di cibo. L’emergenza riguarda però le sempre più precarie condizioni sanitarie generali, e la quasi totale mancanza di acqua potabile e non. Persino Tony Hall, il rappresentante americano presso la Fao, si spinge a criticare l’eccesso di attenzione verso l’Iraq, e parla di una situazione “praticamente ignorata”. Ma a suo dire la responsabilità è da addossare alla stessa Fao, tra gli altri, perché la raccolta di sementi organizzata di recente a favore dell’agricoltura etiopica è una semplice goccia nel mare delle necessità del paese africano. Critiche respinte al mittente dall’Organizzazione, che sottolinea come dallo scorso febbraio un milione di tonnellate di sementi siano state distribuite in loco. Ma questo non basta, almeno secondo il diplomatico americano, perché il problema non è seminare oggi per mietere il prossimo anno, quanto semmai reperire la farina per non morire di fame nel giro di poche settimane. Allora “c’è bisogno di aumentare il numero dei donatori e dei progetti d’intervento”. Come dire che gli Usa, che inviano quest’anno tra il 40 ed il 45% degli aiuti ad Etiopia ed Eritrea, non possono o non vogliono impegnarsi oltre. Sembra essere un implicito ma chiaro invito all’Europa a fare di più, e verso l’Unione Europea si solo levate diverse critiche da parte americana ancora lo scorso maggio. Se ne è fatto portavoce Frank Wolf, un deputato repubblicano che ha visitato il paese a gennaio ed oggi parla di documenti dell’amministrazione americana in cui sono enumerate le mancanze europee. La differenza tra l’aiuto degli americani e quello degli europei, ha recentemente spiegato un portavoce della Commissione Europea, è che i primi inviano generi alimentari, i secondi preferiscono comprarne nei paesi africani, per sostenerne l’economia. Anche questa è una implicita ma chiara accusa in quello che sta divenendo uno scaricabarile internazionale. I trenta milioni di musulmani etiopici intanto pregano nelle loro moschee, come anche nelle chiese copte i fedeli chiedono ormai incessantemente la pioggia ed il cibo. E’ il paese il cui governo è stato trascinato in tribunale da una multinazionale del latte in polvere, causa morosità, lo scorso novembre. Proprio mentre il mondo occidentale metteva a punto i piani per l’invasione dell’Iraq.