Dopo le rogatorie internazionali, la legge Cirami, quella sul falso in bilancio ed il Lodo Schifani, la maggioranza, d?incanto ricompattata da un operoso finesettimana di trattative, riprende ad approvare leggi su misura per la Casa e per le Libertà del Cavaliere. Ultimo esempio, solo in ordine di tempo, l?approvazione al Senato della legge di riordino del sistema radiotelevisivo, più comunemente nota come Legge Gasparri.
Era stata annunciata una ? legge di sistema? per il domani, sulla cui necessità tutti, a cominciare dal Presidente Ciampi, sono d?accordo. Invece è una ?legge per il sistema?, il sistema di oggi. Un provvedimento che, in termini di liberalizzazione e modernizzazione, lascia sostanzialmente le cose come sono (il rafforzamento e l?aggravamento della condizione di duopolio strutturale esistente). Altrimenti le peggiora di fatto (i nuovi limiti antitrust assieme ai limiti di affollamento ed il rinvio del divieto ad un singolo soggetto di detenere più di due emittenti televisive nazionali). Una legge che, infine, di fatto spiana la strada al consolidamento della posizione dominante del monopolista privato, autorizzato a conservare le proprie reti e, dal 2008, a controllare direttamente quotidiani.
Il ddl Gasparri prevede la privatizzazione RAI a partire dal 1 Gennaio 2005 con limite del 1% per ciascun azionista e del 2% per i patti di sindacato. In teoria, sostiene il Governo, la Rai diverrà una ?public company?, il servizio pubblico da essa svolto credibile e indipendente. In pratica, i limiti al pacchetto azionario acquisibile e le modalità di nomina del CdA, verosimilmente, dissuaderanno gli investitori non asserviti ad interessi diversi dal mercato. Non è ritenuto vantaggioso infatti entrare con una quota minima in una azienda che verrà gestita da manager scelti dalla Commissione di vigilanza, e dunque dai partiti, e dal Governo finché resta l?azionista di riferimento o detiene la golden rule.
Il ddl Gasparri intende, in teoria, accelerare il passaggio al digitale. Il Governo sostiene che il digitale, moltiplicando i canali fruibili, accresce il pluralismo e la competitività del settore: in pratica questo automatismo non esiste poiché al pluralismo dei canali non corrisponde il pluralismo delle proprietà ; al contrario sono favoriti nel cogliere le nuove opportunità sopratutto gli operatori dominanti il mercato, cioè le TV generaliste. Per non parlare del vero pluralismo: quello delle culture. Inoltre il completamento del passaggio al digitale, appare ancora lontano (tanto che per evitare rischi, il ddl si premura di salvare Rete 4, scongiurandone il passaggio sul satellite). Infine, pur trattandosi di un adeguamento tecnologico necessario per il settore, nei fatti verrà realizzato a spese della Rai che, peraltro, non pare oggi in condizioni di sostenere un investimento così impegnativo.
I parametri antitrust introdotti dal ddl Gasparri sono, in teoria, meno larghi degli attuali (il 20% delle risorse complessive del settore, con l?eccezione di Telecom che non può andare oltre il 10%), ma saranno calcolati su un monte risorse ampliato, e dunque, in pratica alzano il limite, favorendo nei fatti il gruppo Berlusconi nel suo complesso, che potrà così incrementare il suo fatturato. Il nuovo bacino di calcolo, il cosiddetto Sistema Integrato della Comunicazione (SIC), un parametro che concettualmente si può accettare, è così ampio e disomogeneo che nessuno è ancora stato in grado di quantificare con certezza. Un calderone che includerebbe oltre all?attuale paniere costituito dai settori della radiotelevisione e della connessa pubblicità, anche i mercati della editoria tradizionale, della produzione cinematografica, dell?editoria libraria e scolastica, della produzione discografica, dell?internet, delle guide telefoniche, promozioni e, probabilmente, qualcosa ci sfugge.
Il DDL Gasparri, elimina le barriere agli incroci proprietari tra TV e carta stampata, finora esistenti e frutto di una impostazione, seppur facilmente aggirata, certamente obsoleta poiché non tiene conto della ?convergenza? nel settore dei media. In teoria questo provvedimento rappresenta dunque una leva per la liberalizzazione e la modernizzazione del settore. In pratica, dati i rapporti di forza, esistenti e prospettici, saranno verosimilmente gli operatori TV ad acquisire imprese editoriali piuttosto che il contrario, con ennesimo vantaggio per il gruppo del Presidente del Consiglio, che potrà ritornare ad operare direttamente nel settore della carta stampata.
Per dirla con una frase, siamo di fronte ad una legge pericolosa per il sistema informativo del Paese, frutto di un governo e di una maggioranza che, pur di conseguire l?obiettivo di tutelare gli interessi del leader, hanno trascurato il messaggio che il Presidente Ciampi inviò alle Camere giusto un anno fa, le preoccupazioni della Consulta e le norme UE, di cui si è fatta interprete l?Autorità per la concorrenza. Temiamo non sia ancora finita: c?è la questione del conflitto d?interessi.
La maggioranza approva il riordino del sistema radiotelevisivo ''su misura per la Casa e per le Libertà del Cavaliere''