Vivo a Roma da mezzo secolo ma le mie origini veneto-friulane si risvegliano inevitabilmente davanti a una bottiglia di buon vino. Il buon vino è segno di amicizia, di gioia, di soddisfazione reciproca nello stare insieme.

L’importante è che sia vino buono, meno importante se sia Tocai o Pinot.

Certo il Tocai e il Pinot non sono uguali, né la qualità dell’uno dipende da quanto assomiglia all’altro; ciascuno ha le sue caratteristiche, il suo gusto e il suo profumo. Il Tocai è Tocai e  il Pinot è Pinot: entrambi buoni vini, ma diversi.

Le due bottiglie, una di Tocai e una di Pinot, che ho qui sul tavolo mi sono sembrate una buona chiave per ragionare con maggiore serenità sulla questione delle unioni civili. Non credo sia un buon approccio quello che misura la qualità del riconoscimento delle unioni civili utilizzando esclusivamente il metro della maggiore o minore identificazione con il matrimonio. Non è un buon approccio perché rischia di impantanarsi sulla questione del termine “matrimonio” invece che sul contenuto dei diritti e perché –come ho già detto- non si misura la qualità di un buon Pinot a seconda di quanto assomiglia al Tocai.

Matrimonio e unioni civili sono due cose diverse e impuntarsi a considerarle identiche, alla fine non rende un buon servizio né all’una, né all’altra. La mia è soprattutto una considerazione di metodo: è più utile ragionare sulle caratteristiche e le esigenze di ciascuna delle due forme (entrambe in continua evoluzione) e trovare le soluzioni più ragionevoli che accapigliarsi per sostenerne o negarne l’identità.

Mescolare i vini non li rende migliori.