In un’occasione che non menzionerò (in fondo Felice Celato si compiace di questo suo lieve anonimato) ho ascoltato la presentazione di un volumetto (R. Abravanel e L. D’Agnese: Italia cresci o esci, Garzanti, 2012) non nuovissimo nemmeno nei contenuti ma denso di tesi (esposte organicamente, con grande semplicità ed anche efficacia) che collimano, non certamente in ogni dettaglio ma di sicuro nella tesi di fondo, con quelle che da tempo discutiamo fra noi: la crisi italiana, ben prima di essere economica e finanziaria, è anzitutto culturale e perciò, direbbe De Rita, “di lunga deriva” (e anche di lunga storia, ormai trentennale).

Questa constatazione, che fa giustizia dei tanti “miti della crisi” che partiti politici, sindacalisti e (spesso) media ci propinano con irresponsabile disprezzo della “verità”, pone davanti a noi uno scenario molto più problematico di quello che sarebbe se ci soffermassimo a credere che la manifestazione economica e finanziaria della crisi, anziché essere l’epifenomeno della crisi, ne sia la sostanza. E ciò perché, la crisi culturale, quando si “incista” nella società diviene inevitabilmente sociologica; e quando, divenuta sociologica, si “incista” nelle mentalità, rischia di diventare antropologica. E l’uscita da una crisi antropologica è assai più complicata dell’uscita da una crisi finanziaria o economica, perché esige, appunto, un cambio delle mentalità (o, se si vuole, della cultura del Paese). [Per i curiosi, aggiungerò che la tesi di fondo del libro mi pare essere quella che occorre investire sui giovani; non a caso – giusto o sbagliato che sia – gli autori mi sono sembrati, per dirla col linguaggio sciatto e approssimativo dei politicanti, anche Renziani convinti!].

Sempre attento alle retoriche politiche correnti in questa interminabile e ancora lunga campagna elettorale, farei un esempio di come, a sinistra soprattutto, si “imbroglino” le carte: si dice, ormai da tutti ma soprattutto a sinistra, che “occorre che il Governo faccia qualcosa per lo sviluppo” anziché concentrarsi sulla odiata “austerità”. Bene, ora ragioniamoci sopra: direi, sommariamente, che un governo di un Paese occidentale ha sostanzialmente tre strade per spingere sullo sviluppo anziché sull’austerità: (1) fare investimenti (a debito) per stimolare, Keynesianamente, l’economia; (2) ridurre le tasse, sempre per stimolare l’economia aumentando la capacità di spesa dei governati (e quindi la domanda interna); (3) privatizzare e liberalizzare i mercati quanto più possibile, per stimolare gli “animal spirits” dei governati. Ora: i punti 1 e 2 non sono compatibili con le condizioni della nostra finanza (per dirla con Krugman – Fuori da questa crisi, adesso, Garzanti 2012 – noi stiamo vivendo un “momento di Minsky”, che è quel “momento”, appunto descritto dall’economista Minsky, in cui, improvvisamente e per le ragioni più particolari,  i creditori si rendono conto che un determinato debito non è più sostenibile; come, dice Krugman, Wile Coyote, “il noto personaggio dei cartoni animati che cade da una rupe, resta un attimo sospeso nel vuoto e poi guarda giù: solo a quel punto, per una legge fisica dei cartoni animati, precipita nell’abisso”); e, il punto 3, siamo sicuri che i “padroni ideologici” della sinistra, Vendola e Camusso, lo vorrebbero?

E allora, a che serve invocare dal governo, con generica ritualità, sviluppo e non austerità, se non a confondere le idee del “popolo sovrano” propinandogli una ricetta che non si trova nella farmacia di cui disponiamo?

Se il problema è, come da tempo io credo (e come sembrano credere gli autori citati all’inizio), culturale prima che economico e finanziario, non sarebbe ben più appropriato dire che per fare sviluppo occorre lavorare, a fondo e nel tempo, per “cambiare gli Italiani” (così, mi pare, abbia detto una volta Monti)? E, anzitutto, dire loro la verità sulla storia viziata del nostro declino? E – questa è una mia tesi, non nuova per i lettori del blog – proporre loro la ricetta  del vicendevole perdono per i tanti errori fatti DA TUTTI nel periodo del nostro declino?

O è meglio far credere agli Italiani, con l’ approccio del tanto vituperato Berlusconi, che una volta al governo, sarà possibile alla sinistra sfidare la legge di gravità, come tenta di fare Wile Coyote quando cade dalla rupe?