Le due etnie dei TET e dei TCT vivevano insieme nel paese di Bìlico e -finché non scoppiò il caso della diga- il loro diverso modo di pensare e la loro diversa sensibilità trovavano spazio soprattutto in interminabili discussioni al bar e sui due giornali che li rappresentavano: il “Qui ed ora” e il “Domani migliore”.

Ridotta all’essenziale la questione della diga è presto detta: il ministero dell’energia aveva chiesto al sindaco di dare o negare il consenso alla realizzazione di una diga il cui bacino avrebbe coperto oltre metà delle terre e delle case del paese. In caso di risposta affermativa l’opera sarebbe stata realizzata nella valle di Bìlico, in caso contrario il ministero avrebbe realizzato un bacino alternativo in un’altra regione, assegnando a quest’ultima i benefici collegati.

L’accettazione della proposta includeva infatti una serie di vantaggi, una parte dei quali destinati direttamente ad indennizzare chi nell’operazione avrebbe perso casa e terra, un’altra a beneficio di tutti gli abitanti di Bìlico; per tutti infatti l’energia prodotta dal bacino sarebbe stata gratuita per dieci anni.

Come è facile immaginare si formarono immediatamente due partiti. Quello del no, prevalentemente formato dai TET, e quello del si, sostenuto dai TCT.

Non è una questione di soldi, dicevano i TET, è una questione di principi e di diritti: è la casa in cui sono nato io e i miei figli…, è la nostra storia insieme alla nostra terra…, oggi mi tolgono la casa e la terra domani mi toglieranno l’aria…, il nostro fiume fa quella strada da secoli… nessuno può sapere cosa succederà se lo blocchiamo… . L’indennizzo se lo mettano in quel posto!

“Ma quali diritti?” ribattevano i TCT, è una questione di arroccarsi sul proprio pezzetto di terra senza riuscire a vedere più in là del naso ! Dire no è fermare il progresso, è condannare i nostri figli a rimanere ai margini dello sviluppo, è non sapere fare i conti!

I TET rispondevano : “Ma quale futuro?” E’ che voi avete le case nella parte alta del paese e ve ne fregate della diga… Spacciate per progresso il vostro interesse… Volete l’energia gratuita sulla nostra pelle!

Anche l’associazione dei coltivatori esprimeva perplessità…chi avrebbe assicurato l’impiego ai braccianti della valle?

Il sindaco riceveva dalla mattina alla sera delegazioni delle due parti e annotava scrupolosamente le ragioni degli uni e le obiezioni degli altri. Gli sembravano entrambe fondate e sostenibili, entrambe presentavano ragioni non trascurabili.

Scegliere una o l’altra posizione avrebbe comunque comportato dei rischi.

Voleva essere giusto, decidere per la soluzione migliore senza lasciarsi influenzare dalle simpatie personali.

La pressione divenne sempre più forte: “E tu sindaco da che parte stai ?”

Stare con i TET o con i TCT ? Il dilemma era inquietante, finché il sindaco, ormai insonne, iniziò ad intuire che le cose non stavano esattamente così… che il vero nocciolo della sua scelta non era quello.

Una notte, dopo ore passate a rileggere le ragioni del si e quelle del no, ebbe la tentazione di rimettere la questione ai voti: un bel referendum e se ne sarebbe lavato le mani! Cosa c’è di più democratico di un referendum ? Lui ne sarebbe uscito pulito e indenne… la maggioranza sarebbe stata soddisfatta e la minoranza se ne sarebbe fatta una ragione senza capri espiatori… Ma chi avrebbe potuto garantire che la scelta sancita dal referendum sarebbe stata davvero la migliore? Affidare la scelta ai numeri gli appariva come decidere tirando i dati.

Fu a quel punto che gli apparvero chiari i veri termini della questione: a lui –come sindaco- non era chiesto di parteggiare per una tesi o l’altra, questo ruolo lo svolgevano già le due parti in gioco, a lui era chiesto di svolgere un altro ruolo: di farsi carico del merito, di valutare onestamente i pro e i contro di entrambi i punti di vista, di garantire una soluzione che fosse la mediazione più avanzata possibile tra i diversi interessi.

A che serve un arbitro se al momento di decidere si mette la maglia di una delle due squadre?
E, a maggior ragione, a cosa se al momento di decidere si nasconde negli spogliatoi e lascia che scoppi la rissa in campo?

Non era mica stato eletto sindaco per tenere il conto delle risse e fare il notaio degli interessi contrapposti!

Era stato eletto per decidere. E decidere significa -quasi sempre- scegliere faticosamente fra due posizioni sostenibili, avendo il coraggio di lasciare sul terreno parte delle ragioni dell’una e dell’altra a vantaggio di una soluzione che sia la migliore possibile sul piano del merito.

Certo, sarebbe stato più facile essere in una delle due squadre, lì almeno si tratta solo di sposare una tesi, trovare tutti gli argomenti a sostegno e spingere più forte che si può per farla prevalere… sapendo che dall’altra parte faranno lo stesso e qualcuno alla fine deciderà… appunto chi è stato eletto proprio per fare il “terzo”, per essere il “decisore”. Insomma per governare.

Chiarito il suo ruolo, e deciso a giocarlo, il sindaco di Bìlico rinunciò a scegliere la tesi di chi gridava più forte, se ne fregò della rielezione a fine mandato, non tenne conto che suo figlio aveva appena comprato una casa nella parte bassa del paese, respinse la scorciatoia del referendum e –fatto un profondo respiro- convocò di nuovo le parti per provare a prendere insieme la decisione migliore per il futuro di tutti.