“Il problema dell’umanità è che gli stupidi sono sempre sicurissimi, mentre gli intelligenti sono pieni di dubbi.”. Questo famoso aforisma, attribuito al filosofo e matematico britannico Bertrand Russell, fotografa qualcosa di facilmente intuibile e di cui abbiamo quotidiana evidenza: chi è meno competente è più dogmatico nei suoi giudizi, mentre chi approfondisce le ragioni dei fatti tende all’incertezza, esita, quasi paralizzato dalla complessità dei problemi.
Forse Russell è stato un po’ brutale a dividere l’umanità in “stupidi” e “intelligenti”, ma dubitare di fronte a situazioni complesse è certamente sintomo di maggiore saggezza: esprime il rifiuto di adottare giudizi affrettati, emotivi e superficiali. Tuttavia l’esigenza di approfondire l’analisi può arrivare a paralizzare la capacità di decidere. Non sempre infatti è applicabile l’adagio latino “In dubiis, abstine” [nel dubbio, astieniti!]: non si possono fermare il tempo e gli eventi, e decidere diventa sempre più spesso “obbligatorio” (anche perché diversamente altri decideranno per noi).
Quale può essere allora la linea di confine tra l’esigenza di approfondire prima di decidere e quella di dover decidere senza aver maturato certezze? La tensione tra approfondire e decidere è uno dei nodi centrali del pensiero critico e, più in generale, della vita quotidiana. Il dubbio è un segnale cognitivo prezioso, ma -se non gestito- può trasformarsi in un freno. Come è possibile contemperare queste due esigenze?
-Un primo criterio può essere quello di valutare se e come possiamo ridurre l’incertezza (acquisire ulteriori informazioni, confrontare la situazione con altre simili, ipotizzare gli esiti, ecc.); quando non ci è possibile saperne di più, coltivare il dubbio diventa un esercizio sterile.
-Un secondo criterio è valutare se il costo del non-decidere supera il costo dell’errore: a volte l’indecisione è più dannosa di una scelta imperfetta e, in taluni casi, aspettare peggiora addirittura la posizione decisionale (diminuendo le alternative tra cui decidere). Una quota di rischio è inevitabile e accettare questa realtà aiuta: il dubbio smette di essere un nemico e diventa un compagno di viaggio, una sorta di rischio consapevole, gestito e reso più leggero dal metodo e dall’esperienza.
E’ un processo decisionale ben lontano dalle certezze “assolute” ostentate nei talkshow o -peggio ancora- nelle aule del parlamento: giudizi emotivi, ideologici e -soprattutto- strumentali, spesso dettati da pregiudizi più o meno consapevoli.
I pregiudizi pesano in modo determinante sulla formazione del giudizio e sulle decisioni conseguenti. Noi tutti abbiamo dei pregiudizi, anche (e soprattutto!) se pensiamo di non averne. Se infatti ne fossimo consapevoli, cercheremmo di liberarcene o almeno di ridurre il loro impatto sulle opinioni che maturiamo e sulle decisioni che prendiamo. Indagare questo aspetto e provare (magari solo per finzione dialettica!) a vedere le cose dal punto di vista di chi la pensa diversamente da noi, potrebbe sorprenderci e regalarci due effetti positivi: ampliare i confini delle nostre prospettive abituali [le stanze del “già pensato”] e rendere meno conflittuale e “difensiva” la nostra reazione.
Forse -provandoci- anche Bertrand Russell sarebbe stato un po’ meno “brutale” nel tracciare il confine tra stupidi e intelligenti: prima di autoiscriverci tra gli intelligenti è utile rammentare che anche quelli che noi riteniamo “stupidi” si sono autoiscritti nella stessa lista…: non conta dunque l’autopercezione. Per rendere la nostra prospettiva difendibile contano invece i fatti oggettivi su cui ci basiamo e una onesta imparzialità nei ragionamenti che ci costruiamo sopra; non sarà mai “sicurissima” (quella la lasciamo agli “stupidi” di Russell…), ma neppure esitante o impantanata nella palude del dubbio.
