Come si fa a riconoscere una buona politica? Cosa la differenzia da una cattiva politica?

E’ importante darsi un criterio, un’unità di misura, altrimenti diventa poi impossibile scegliere (e votare!) i buoni “politici”, i buoni legislatori, presidenti di regione, sindaci. Senza un criterio finisce che consideriamo buoni solo quelli che ci stanno più simpatici o che ci assomigliano di più; finiamo per confondere la qualità con l’affinità e il contenuto con la confezione.

E allora quale criterio utilizzare? 

Partirei dal gioco del contrario. Qual è il contrario di dentro? Fuori. E il contrario di includere? Escludere. E di farsi carico? Scaricare. E di prendersi cura? Fregarsene (sorry, trascurare). Ecco, la differenza tra una buona politica e una cattiva è tutta qui.
Non è certamente l’unico criterio possibile, ma è uno dei miei preferiti ed è quello che più di altri mi sento di suggerire. Per essere più chiaro includere/escludere chi? Chi è più debole, chi ha meno opportunità, non è in grado di far valere i suoi diritti, ha disabilità fisiche o psichiche, ha meno capacità, meno strumenti. Includere in cosa/escludere da cosa? Dalla partecipazione facilitata, l’informazione comprensibile, la relazione sociale, l’accesso ai servizi, l’assistenza nei casi in cui è prevista, la prossimità in tutte le sue forme.

Mi rendo perfettamente conto [ci sono passato!] che l’attenzione all’inclusione sociale costituisce solo una parte -e non la principale- dell’attività politica di governo prioritariamente rivolta a far funzionare l’esistente, a far quadrare i bilanci, a rispondere alle esigenze dei “normali” prima di quelle dei “deboli” ma, lungi da essere solo un dettaglio, quell’attenzione è rivelativa di uno stile, di una mentalità, una visione del mondo e un valore morale che fanno da garanzia a tutta l’azione politica di chi governa. Un noto adagio recita: “La vera misura di un uomo si vede da come tratta qualcuno da cui non può ricevere nulla in cambio”; vale per tutti, ma per un politico di più.

 

*****

Riprendiamo gli incontri di “Amici per la Città”.

Il prossimo martedì 26 ottobre, alle 18:00, nella sede dell’ASP Sant’Alessio in Viale C.T.Odescalchi, 38 insieme al prof. Tommaso Losavio e a Francesco Rutelli parleremo della “famosa” legge 180 del 1978, più nota come la legge Basaglia, che rivoluzionò l’approccio alla malattia mentale, portò alla chiusura dei manicomi, ma –soprattutto- fece definitivamente saltare la convinzione che rimuovere e nascondere un problema equivalesse a risolverlo. Il prof. Losavio fu uno dei protagonisti dell’attuazione di quella legge ed è l’autore del libro “Fare la 180” Ed.ETS

Non sarà solo un amarcord! Norberto Bobbio, in una intervista del 1984, così parlava di quella legge: «Noi oggi diciamo che è stata una riforma perché era ispirata a un valore fondamentale che è quello della libertà, della liberazione, della liberazione anche di coloro che nella storia dell’umanità sono stati considerati come coloro che non potevano essere liberati, che non avevano diritto ad essere liberati. Riconoscere a queste persone il diritto di essere liberi come gli altri, questa è una grande trasformazione, è una trasformazione della società che si ispira a un valore fondamentale: per questo si può dire che è una legge di riforma