Una ventina di anni fa, a Porto Alegre, ho incontrato una anziana suora brasiliana che alle elezioni dell’anno precedente aveva votato convinta per il presidente Fernando Collor de Mello.

Rimasi un po’ stupito visto che sul presidente pendevano gravi accuse di corruzione, evasione fiscale, interessi privati e la sua fallimentare politica economica non era apprezzata né in Brasile, né all’estero. Pochi mesi dopo Collor de Mello fu destituito dal parlamento in seguito ad un procedimento di impeachment.

Chiesi allora all’anziana suorina cosa l’avesse convinta a votare per lui e perché ne fosse così entusiasta, e lei candidamente mi confessò di non capire molto di politica ma che lo trovava molto bello. Già, disse proprio così, “molto bello”, il che -tra l’altro- era vero: si trattava di un aitante quarantenne che aveva sostituito un panciuto sessantenne (Josè Sarney).

Provai ad obiettare che la bellezza non mi sembrava un buon criterio nella scelta di un uomo politico, ma lei continuò a sorridere e a ribadire convinta che, non essendo in grado di valutare altri aspetti, aveva scelto l’unico che la convinceva, poi cambiò discorso perché di lì a poco iniziava la puntata quotidiana di “Explode o coração”, la sua telenovela preferita.

Tornai dal Brasile pensando che in una democrazia adulta (come allora credevo quella italiana) le persone non votano in base alla bellezza o alla ricchezza, ma in base alle idee, ai valori, ai programmi o -nei casi meno “puri”- in base ai vantaggi che ritengono possa portar loro l’elezione di un candidato piuttosto che un altro.

Oggi la penso diversamente.

Oggi sono convinto che la percentuale delle persone che davvero scelgono per chi votare alla fine di un ragionamento che saprebbero esporre e motivare è molto bassa e, poiché la base del suffragio universale è il principio “one man, one vote”, essa risulta scarsamente influente sull’esito delle elezioni.

Ovviamente oggi suonerebbe ridicolo il principio con cui si votò la prima volta in Italia nel 1861: solo i maschi che sapevano leggere e scrivere, maggiori di 25 anni e che pagavano almeno 40 lire di imposte. Nulla da eccepire sul voto alle donne, ai diciottenni e svincolato dal  reddito, ma -sinceramente- sul saper “leggere e scrivere” un pensierino ce lo farei…

Fantasie intellettuali a parte, in base a quali criteri le persone scelgono chi votare ? (Voglio dire nella realtà, non nel pianeta inesistente del mondo come vorremmo che fosse).

Non basta dire che ognuno sceglie in base alle proprie convinzioni, quello che bisogna capire è come si alimentano queste “convinzioni” e poi, siamo davvero sicuri che si tratta di convinzioni ? La suorina brasiliana era davvero “convinta” che la bellezza fosse un buon criterio o piuttosto aveva seguito l’emozione senza starci a pensare più di tanto ?

Fatta salva la minoranza – e chi ha letto fino a qui ne fa probabilmente parte- che alimenta le proprie convinzioni con la riflessione sui valori, l’analisi dei dati oggettivi, la valutazione della coerenza e della fattibilità dei programmi e il giudizio motivato sui candidati (ad essere generosi direi non più del 10% dei votanti, più o meno distribuiti fra tutti gli schieramenti), l’esito delle elezioni è comunque deciso dall’altro 90%.

Continuiamo allora ad impegnarci a capire meglio la complessità delle questioni economiche e sociali, a valutare meglio i candidati, ad approfondire la coerenza delle scelte politiche in ordine ai diversi problemi, ma non illudiamoci che vinceremo nella misura in cui noi saremo convinti, né che questo basterà a convincere molti altri.

Temo (lo so che scopro l’acqua calda) che la maggior parte degli elettori scelga alla fine in base a spinte, emozioni, pulsioni che poco hanno a che fare con i contenuti della politica: la simpatia, la bellezza, gli slogan, i pregiudizi alimentati, la ripetizione dei luoghi comuni condizionano l’esito elettorale molto più di tutto il  resto. Non darei invece troppo peso al voto di interesse: tolti infatti quelli (che pur ci sono) capaci di trasformare il loro voto in un biglietto da cinquanta euro, gli altri che votano rincorrendo un personale interesse si nutrono più di promesse che di realtà e sono facilmente condizionabili (basta promettere di più).

E allora ? Allora bisogna aver chiaro che fare seriamente politica e vincere le elezioni sono due cose diverse. Temo siano solo lontani parenti.

La politica si fa con i valori, i contenuti, le analisi, le coerenze possibili; le elezioni si vincono con le promesse, la simpatia, gli slogan, la bellezza, la demolizione sistematica dell’avversario.

La prima è una cosa seria e impegnativa, la seconda è puro marketing; ma senza la seconda, la prima si fa solo in salotto.

Fernando Collor de Mello non era un gran politico, ma le elezioni le aveva vinte.