Se vi dicessi che sono preoccupato della situazione in Burundi dove il colpo di stato del generale Niyombare sembra fallito e il presidente Nkurunziza si appresta a candidarsi per un terzo (incostituzionale) mandato,  molti penserebbero: “Perché ce ne dovrebbe importare qualcosa?”.  Beninteso, non lo direbbero così “salvinamente”, sia perché non è politicamente corretto, sia perché si può intuire che per dieci milioni di burundesi la questione rivesta una certa importanza…, ma in fondo la domanda sarebbe più che comprensibile (nessuno si senta in colpa!).

La domanda non è se una questione sia importante o no, ma “per chi” e “perché” quella questione diventa importante.

La Treccani non ci aiuta molto, si limita ad informarci che una cosa importa se “ha peso, preme, sta a cuore” e non importa se “non ha peso o valore” perché ad essa “non si crede di dover dare importanza, in quanto priva di rilievo o senza gravi effetti”. Ovvio. Ma la questione rimane: priva di rilievo per chi? Senza gravi effetti per chi?

Non illudiamoci di avere a cuore una questione perché è importante, è vero piuttosto il contrario: una questione diventa importante se l’abbiamo a cuore, se il suo esito ci toglie il sonno, se riguarda cose o persone a cui teniamo.

E questo siamo noi a deciderlo.

Siamo noi a decidere se il confine del nostro “avere a cuore” coincide con quello della nostra vita personale e dei nostri interessi culturali (e allora il terremoto in Nepal è certamente meno “importante” del traffico sul raccordo) o se riusciamo ad includere in questo confine anche eventi, esiti e destini che non cambiano di un millimetro la nostra vita, ma li abbiamo comunque a cuore come se la cambiassero.

Non la vedo come una questione morale, ma di ricchezza di vita.