Ma ci voleva uno scrittore algerino, Kamel Daoud, per dire la verità sui fatti della notte dell’ultimo dell’anno  a Colonia? E ad Amburgo, a Stoccarda, a Bielefeld, in Westfalia, dove in 500 hanno forzato l’ingresso di una discoteca per molestare le donne? Cosa dice Daoud, rilanciato ora da tutti i quotidiani italiani? Dice che “in Occidente  il rifugiato, l’immigrato potrà salvare il suo corpo, ma non patteggerà tanto facilmente la propria cultura. Perché la cultura, la sua mentalità è ciò che gli resta dopo lo sradicamento dalla propria terra.  E in questa cultura il rapporto con le donne – fondamentale per l’evoluzione dell’Occidente – la libertà di cui gode qui la donna,  è incomprensibile, è vista come un capriccio, uno snaturamento”.

Kamel Daoud l’ha detta la verità e sta facendo scalpore. Le donne, le associazioni femminili o femministe sono state tutte zitte.  E le donne della politica? Le paladine delle pari opportunità , il fiore all’occhiello di ogni giunta in nome delle quote rosa? Idem. Con qualche distinzione. Alcune donne schierate col centro destra hanno condannato l’accaduto, come Daniela Santanchè, che l’ha definito: “Un atto di terrorismo contro le donne”.  Quelle di centro sinistra sono state zitte. Solo Lucia Annunziata sul suo Huffington Post sta cercando di aprire una seria discussione sul rapporto dell’Islam con le donne: tema devastante, dice, nutrito di violenza, incompatibile con uno dei valori fondamentali raggiunto finalmente dalla nostra civiltà, ovvero la libertà e la parità delle donne.  Ma nessuna al momento, fra le tante donne che siedono in parlamento, le ha risposto. Qualche intellettuale isolata finalmente si sta muovendo, ma il silenzio femminile è durato ben 10 giorni.

Immaginatevi che un attacco simile – un migliaio di maschi che accerchiano oltre 500 femmine e le aggrediscono a scopo sessuale – fosse avvenuto in Italia,  fra connazionali.  Si sarebbe scatenato il diluvio.  Cortei, proteste, manifestazioni. Dichiarazioni a gogò:  “il corpo della donna non si tocca”,  “castriamo i maschi violenti”, la politica in prima linea, associazioni femminili sul piede di guerra, uomini messi alla gogna, proposte di legge per pene più severe. Qual è allora il problema qui?

Il problema è che gli autori del misfatto sono dei rifugiati, dei richiedenti asilo  e quindi come tali (anche se molti, dice la polizia tedesca, entrati illegalmente) classificati come  disperati, in fuga dalla guerra e dalla fame. E questo mette in imbarazzo tutti. Soprattutto coloro che non possono ora rimangiarsi la parola e dire: forse in qualcosa abbiamo sbagliato. Tutti costoro sono stati accolti e quindi con un po’ di ingenuità  si pensa che debbano eterna gratitudine al paese che li ospita.  Ma  quell’attacco, organizzato con una  regia precisa,  come dice il ministro della giustizia tedesco (a Colonia  sono arrivati anche da Francia e Belgio in un passaparola lanciato sui social network fra nordafricani ),  ha scardinato tutti i nostri equilibri e strategie di accoglienza. Ci ha preso alla sprovvista, ci ha sorpreso.  E fatichiamo a capire che qui è in atto uno scontro di civiltà.  Anche le  bombe di Parigi sono state un attacco alla nostra civiltà, ma lì è tutto più chiaro:  sono i terroristi dell’Isis, la minaccia globale. I nemici dichiarati.

Qui la vicenda è più sfumata, non ci sono morti, feriti. I nemici erano considerati amici, diciamo ospiti. Non hanno alzato vessilli nel nome di Allah, ma hanno preso di mira le donne. Attenzione, però: la donna è sempre stata usata in ogni battaglia come bottino di guerra.  Quando un popolo vince,  stupra le femmine del popolo sconfitto. La donna è la facile preda e il trofeo del vincitore. Non vi dice nulla questo sul perché un migliaio di nordafricani e di arabi abbia scelto nella notte fra il 31 dicembre e il primo gennaio di  oltraggiare le femmine del paese in cui vivono ma che evidentemente considerano nemico? Simbolica la data, diciamo il segnale di una sfida destinata a prolungarsi nel 2016, simbolica la preda.

Qui non parliamo genericamente di maschilismo, non parliamo soltanto di difficile integrazione.  Non è più possibile attaccarsi al multiculturalismo, al relativismo, al rispetto delle “culture altre”, linee guida finora dell’immigrazione. Sulla dignità e il rispetto per le donne si giocano i valori fondamentali dell’Occidente “emancipato”. E loro hanno voluto farci vedere che le donne le sbeffeggiano,  le umiliano, le mettono in trappola.

E le nostre donne libere, emancipate, progressiste, impegnate in politica, manager di successo, intellettuali, le donne che guidano il paese, le comunità, le associazioni, le famiglie, stanno tutte zitte. Non le riguarda che altre donne siano state offese? Nessuno in Italia che si sogni di ripetere lo slogan lanciato in Germania: “Noi siamo le ragazze di Colonia”.  Mentre siamo tutti “Charlie Hebdo”  e “siamo tutti parigini”. Certo, lì ci sono state le vittime, i morti, la strage. Ma le donne devono morire perché ci si accorga di loro?  Tocca pure sentire un gruppo femminista chiamato in causa per un parere che dice: “Noi non ci facciamo strumentalizzare per avallare ideologie razziste, non entriamo in un dibattito che vuole sputare sugli stranieri migranti”.  Ma dove vivono costoro, sono ferme ai tempi di Rousseau (1700), del “buon selvaggio”?

E qui si torna al problema dell’accoglienza. Ovvio che l’attacco di Colonia è stato un segnale di disprezzo e di sfida. E si torna alle parole dello scrittore algerino: “Dare asilo non significa solo offrire un giaciglio e distribuire carte, ma richiede di accettare un contratto sociale con la modernità. Quella modernità che loro vogliono perché  significa libertà, fuga dall’oppressione, risorse economiche e vita migliore, ma di cui rifiutano i valori fondanti. Dare asilo ci pone anche di fronte a un problema di valori da condividere, imporre, difendere, far capire. Ci pone il problema del dopo-accoglienza. A integrarsi devono essere loro, non può essere un intero popolo ad adattarsi ai desideri di chi arriva in Occidente. Cosa facciamo se costoro non vogliono integrarsi?”.

Già. Cosa facciamo? Cosa facciamo se loro odiano le donne, le vogliono sottomesse perché la loro cultura prevede questo? Questa non è la nostra cultura, quella per cui milioni di donne si sono battute per secoli per arrivare alla parità, per smetterla di essere invisibili e  poter affermare la propria libertà, indipendenza, valore.

Cosa facciamo? Ha ragione Lucia Annunziata:  bisogna cominciare una discussione vera su quello che l’immigrazione sta portando nei nostri paesi. In Germania la Merkel sta pensando a un “accordo vincolante di integrazione” da far firmare agli immigrati. Sempre che capiscano cosa firmano.  Ma per una integrazione culturale vera ci vogliono millenni. La cultura non è un guanto che ti sfili e butti via. E alla fin fine in ogni società, in ogni luogo c’è sempre stata una cultura dominante, quella che determina i modelli di vita. Al momento i loro modelli non sono i nostri.  E una delle due culture prima o poi è destinata a soccombere.

(Barbara Pavarotti)